Nell’arco di quarantott’ore la natura del conflitto è cambiata. Gli scontri tra i manifestanti palestinesi e le forze dell’ordine a Gerusalemme si sono trasformati in una guerra aperta nella Striscia di Gaza, e il bilancio si è improvvisamente aggravato, con almeno quaranta morti.

È l’escalation nell’uso delle armi ad aver fatto impennare il numero delle vittime. Centinaia di razzi sono stati lanciati da Hamas contro Israele dalla Striscia di Gaza. Alcuni hanno superato la “cupola d’acciaio”, il sistema antimissile israeliano.

Cinque israeliani sono stati uccisi dai razzi, mentre a Gaza 35 palestinesi, tra cui dodici bambini, sono morti a causa della rappresaglia israeliana. Nel pomeriggio dell’11 maggio ottanta aerei israeliani hanno bombardato la Striscia, e in serata le sirene hanno suonato a Tel Aviv per avvisare di un nuovo lancio di razzi.

Conflitto irrisolto
Come siamo passati dalle violenze nelle piazze a una guerra combattuta con aerei e razzi, che rischia di non fermarsi? Come sempre succede in questa regione, gli incidenti isolati risvegliano conflitti mai risolti.

Nella sua cronologia degli eventi, il quotidiano israeliano Haaretz fa risalire lo scoppio della crisi al primo giorno di Ramadan, quando le autorità israeliane hanno cambiato il dispositivo di sicurezza alla porta di Damasco, principale via d’accesso alla città vecchia e ai luoghi di preghiera. Davanti alla porta, c’è il quartiere storico di Sheikh Jarrah, già in fibrillazione a causa delle espulsioni dei residenti palestinesi. I palestinesi si sono rifiutati di rispettare le nuove regole sulla sicurezza, giudicate “umilianti”.

C’è un vuoto di potere sia sul fronte israeliano sia su quello palestinese

Poi un video pubblicato su TikTok ha mostrato un giovane palestinese che schiaffeggiava un giovane ebreo ultraortodosso a Gerusalemme. Il video è diventato virale, come una sfida puerile lanciata dagli adolescenti all’onnipotente stato ebraico. A quel punto alcuni israeliani di estrema destra hanno lanciato una caccia all’uomo nei quartieri palestinesi, e la violenza si è messa in moto. Cominciata su TikTok e finita con i bombardamenti: è la guerra del ventunesimo secolo.

Ma questo non basta a spiegare tutto. Esiste anche il contesto politico. Sul fronte israeliano c’è un vuoto di potere nonostante tre elezioni nell’arco di poco tempo. Benjamin Netanyahu dovrebbe limitarsi agli affari correnti, eppure ha il potere di decidere se fare la guerra e la pace.

Sul versante palestinese il vuoto è ancora più sorprendente. Da quindici anni i palestinesi sono divisi tra la Striscia di Gaza, controllata dagli islamisti di Hamas, e l’Autorità palestinese in Cisgiordania, guidata da un Abu Mazen, il cui mandato è terminato da tempo, così come il suo credito politico.

Scatenando la battaglia a partire dal suo feudo, Hamas rivendica la leadership palestinese e prova ad approfittare dell’indebolimento del suo rivale storico, Al Fatah, la formazione in passato guidata da Yasser Arafat e ormai senza un capo né un progetto politico.

I giovani palestinesi, dal canto loro, non hanno fiducia in questi partiti che non sono in grado di offrirgli un futuro. Ma il rifiuto di un’occupazione senza speranze e senza fine assume la forma di un’ondata di violenza di cui nessuno può prevedere la fine.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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