Il conflitto tra israeliani e palestinesi ha cause ben note e identificate, che sono territoriali, storiche e religiose. Ma ne esistono altre più sommerse, più inconsce, che riaffiorano in superficie quando si verificano avvenimenti drammatici. È ciò che sta accadendo con le scene violente a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni nelle città di Israele con popolazione arabo-israeliana – Lod, Ramleh o Acri – e che fanno riemergere su entrambi i fronti traumi storici profondi.
Dopo che una sinagoga e alcune attività commerciali gestite da ebrei sono state incendiate a Lod, il sindaco ha immediatamente proposto un paragone con la notte dei cristalli del 1938, quando i nazisti bruciarono sinagoghe, saccheggiarono i negozi degli ebrei e uccisero oltre cento persone.
Quando gli ebrei di estrema destra ripresi in diretta televisiva, sempre a Lod, hanno attaccato i negozi arabi e hanno linciato un uomo uscito dalla sua auto, i palestinesi hanno immediatamente evocato la Naqba, la catastrofe, ovvero l’espulsione o la fuga di centinaia di migliaia di palestinesi nel 1948 in occasione della creazione dello stato ebraico.
Davanti alla memoria
Questi due riferimenti storici sono diventati costitutivi delle identità dei due popoli. Tutti gli israeliani e tutti i palestinesi sono cresciuti all’ombra della grande storia. Il calendario è ritmato da queste ricorrenze: in Israele il giorno della Shoah perpetua il ricordo dello sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale e la promessa del “mai più”, mentre i palestinesi hanno il giorno della Naqba, che ricorre esattamente domani, il 15 maggio, e preannuncia forti tensioni.
In questo caso non si tratta di comprendere i due eventi e procedere a un qualche paragone tra le vittime, ma di capire le ricadute scatenate da questi traumi storici.
Il peso della storia può essere schiacciante, soprattutto quando non è condivisa
Aggiungo un ricordo personale: dopo gli accordi di pace di Oslo, nel 1993, quando ero corrispondente da Gerusalemme, avevo riunito due intellettuali, uno israeliano e l’altro palestinese. Il palestinese aveva proposto che ognuno riconoscesse il trauma dell’altro per oltrepassarli e vivere in pace, evocando proprio la Shoah e la Naqba. Era un gesto di buona volontà, ma che non fu compreso, e la discussione fu accantonata. Un quarto di secolo dopo, ritroviamo la stessa problematica negli scontri di Lod.
Il peso della storia può essere schiacciante, soprattutto quando non è condivisa. Niente cancellerà la reazione istintiva di un ebreo davanti a quella che considera una ripetizione dell’innominabile. Di contro, quando i palestinesi si mobilitano per impedire le espulsioni dei residenti del quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, si attiva la stessa reazione istintiva.
Ignorare la storia dell’altro e i suoi traumi significa fare in modo di non capirsi mai e rendere la coabitazione ancora più difficile. Nella crisi attuale gli scontri tra israeliani ebrei e israeliani arabi costituiscono la dimensione più pericolosa per il futuro, ancor più dei razzi di Hamas.
Per superare questo fossato che si sta allargando e che, secondo il ministro della difesa Benny Gantz, potrebbe scatenare una guerra civile, forse bisognerebbe cominciare comprendendo cosa c’è nella testa dell’altro, i suoi sogni e i suoi incubi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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