La porta si è chiusa il 31 agosto con la partenza dell’ultimo soldato statunitense. A due settimane da quella data le afgane e gli afgani che non sono riusciti a salire su un aereo in partenza da Kabul nel caos dell’aeroporto sono rimasti bloccati.

I taliban avevano promesso che avrebbero autorizzato la partenza di chiunque fosse in possesso di documenti d’identità e di un visto straniero, ma l’11 settembre il ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian ha rilasciato una dichiarazione secca alla tv francese: “Hanno mentito”.

I taliban lasciano partire con il contagocce gli ultimi stranieri, ma non gli afgani, alle prese con l’instaurazione di un regime che applica un programma fondamentalista che si riflette sulla composizione di governo: tutti taliban, solo uomini e con una predilezione per le persone più intransigenti.

Fattore determinante
A questo punto le opzioni sono estremamente limitate per i governi stranieri e le ong che devono gestire liste d’attesa di migliaia di persone (non è stata fornita nessuna cifra precisa) considerate in pericolo, spesso mortale.

La geografia è un fattore determinante. Osservate una mappa di questo paese senza sbocco sul mare: le strade sono pericolose a causa dei numerosi posti di blocco taliban e del rischio rappresentato dal gruppo Stato islamico, oltre che dell’ostilità della maggior parte dei paesi vicini. A cominciare dal Pakistan, alleato dei taliban, e dai paesi dell’Asia centrale come il Tagikistan o l’Uzbekistan.

L’opzione meno rischiosa resta dunque la via aerea, che tuttavia passa dalla benevolenza delle autorità taliban. È con questo obiettivo che il capo della diplomazia francese si è recato negli ultimi due giorni in Qatar.

Questo piccolo emirato del golfo è sostanzialmente l’unica chiave d’accesso al nuovo governo di Kabul. La rappresentanza dei taliban all’estero si trova infatti a Doha, ed è nella capitale qatariota che si sono svolti i negoziati che hanno portato alla partenza degli statunitensi. È sempre il Qatar ad assicurare la ripresa progressiva del traffico aereo a Kabul.

L’Afghanistan è un paese stremato, su cui incombe una catastrofe umanitaria

Jean-Yves Le Drian, forte di rapporti stretti e di lunga data (oltre che controversi) tra Francia e Qatar, sta cercando di far partire una mediazione qatariota per permettere una ripresa delle evacuazioni dall’Afghanistan. Un mediatore francese, l’ex ambasciatore a Kabul François Richier, si trova anch’egli a Doha per una serie di incontri ufficiosi con i taliban, in assenza del riconoscimento ufficiale del regime.

I nuovi padroni dell’Afghanistan hanno ereditato un paese stremato, su cui incombe una catastrofe umanitaria su larga scala. Il 13 settembre si è svolta una conferenza sotto l’egida dell’Onu per inviare aiuti umanitari alla popolazione minacciata. La Francia si è impegnata a versare cento milioni di euro.

Questa è l’unica carta a disposizione degli occidentali dopo la disfatta di Kabul: l’accesso ai finanziamenti internazionali in cambio di un regime più presentabile che almeno mantenga le promesse sulla libertà di espatrio e sull’assenza di un santuario terrorista.

È il classico dilemma degli aiuti umanitari: per soccorrere le vittime è inevitabile favorire i carnefici. Questo è il prezzo da pagare per permettere agli afgani e alle afgane di sfuggire al giogo taliban. Ma al momento niente è ancora risolto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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