È una prova di forza che potrebbe non avere alcun vincitore. Il 10 gennaio la giunta militare al potere a Bamako ha risposto con tono di sfida alle sanzioni imposte dalla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cedeao), definite “illegali” e “illegittime” da un portavoce che indossava un’uniforme kaki e che ha accusato i capi di stato africani di farsi “strumentalizzare da potenze extraregionali dai disegni occulti”, compresa naturalmente la Francia.
Il Mali, paese senza sbocco sul mare, si ritrova con le frontiere terrestri chiuse, i collegamenti aerei con i paesi vicini interrotti e i suoi capitali congelati dalle istituzioni monetarie regionali.
Al centro dello scontro c’è la durata della transizione proposta dai militari per un ritorno al potere civile: le elezioni previste il mese prossimo sono state rinviate al… 2026! I paesi della Cedeao ritengono che la giunta abbia “preso in ostaggio il popolo maliano” e hanno imposto una serie di sanzioni tra le più severe che un paese africano abbia mai dovuto subire. Il rischio è che a pagare sia soprattutto la popolazione, la cui vita quotidiana diventerà ancora più difficile.
Perché una reazione così dura da parte dei paesi africani? La spiegazione più semplice è che i paesi della regione temono il moltiplicarsi dei colpi di stato militari, dopo quelli in Guinea e Mali. Imponendo sanzioni severe, i governi africani sperano di scoraggiare i potenziali golpisti all’interno delle loro frontiere.
Ma questa non è l’unica spiegazione. La crisi di legittimità, infatti, non riguarda soltanto i regimi militari. Se osserviamo la situazione da vicino, pochi dei quindici paesi che fanno parte della Cedeao possono dire di rispettare in tutto e per tutto le loro costituzioni. Reagendo duramente contro i poteri militari, i paesi africani si piazzano dalla parte del buon governo, a prescindere dalle proprie mancanze.
Situazione esplosiva
Con questo conflitto regionale il Mali è entrato in una zona di turbolenze e incertezze, e reagisce rilanciando sul piano della sicurezza. Parallelamente, infatti, è in atto uno scontro silenzioso tra la Francia e la giunta maliana a proposito dell’impiego ormai evidente di militari russi, il cui status non è ancora chiaro. Sono mercenari o addestratori?
Al momento circolano foto che mostrano uomini in mimetica a Bamako e a Ségou, nel centro del paese, ma anche a Timbuctù, nel nord, dove il mese scorso l’esercito francese ha lasciato una delle sue basi.
Per il momento Parigi tace e lascia che ad agire siano i paesi della Cedeao, ma la situazione rischia di non essere sostenibile ancora a lungo. La coabitazione tra soldati maliani, francesi e russi, oltre alle forze dell’Onu e ai gruppi jihadisti che occupano buona parte del paese, è chiaramente incompatibile. La situazione è esplosiva.
Il Mali, dunque, è il teatro di una crisi multiforme e inedita che dovrà trovare una soluzione rapida prima che il paese sprofondi nel caos. È un test per tutti gli attori coinvolti in questa crisi:
- per i militari maliani, che vedono diminuire le loro opzioni anche se si fanno scudo con la dignità nazionale;
- per i paesi della regione, la cui azione decisa deve produrre risultati rapidi per scongiurare il rischio che si riveli controproducente;
- per la Russia, che si è infilata in una polveriera;
- per la Francia, considerata come liberatrice nel 2013 ai tempi dell’intervento contro un’offensiva jihadista e che oggi, nel 2022, è diventata estremamente impopolare e si gioca la propria credibilità in Africa.
Il momento della verità è arrivato.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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