La Mediterranean Voyager è una petroliera battente bandiera delle Bahamas. L’11 marzo la nave ha lasciato il porto russo di Novorossijsk con a bordo un carico da centomila tonnellate di petrolio greggio, per un valore di 57 milioni di euro.
Il finanziatore del trasporto è la statunitense Chevron, mentre la destinazione del carico è l’Europa e più precisamente Rotterdam, il grande porto olandese dove la nave dovrebbe arrivare il 29 marzo. Attualmente, al 15 marzo, la Mediterranean Voyager è in attesa del suo turno nel mar Nero per passare nel Mediterraneo. È possibile seguirne il viaggio in tempo reale sui siti di navigazione commerciale.
Nel pieno dell’invasione russa in Ucraina, mentre l’Europa si mobilita per sostenere il paese aggredito e gli Stati Uniti hanno imposto un embargo petrolifero e del gas alla Russia, la Mediterranean Voyager è il simbolo delle contraddizioni occidentali.
Una falla ingiustificabile
Un’azienda petrolifera statunitense, clienti europei e milioni di dollari in arrivo nelle casse della Russia: una palese falla nelle sanzioni durissime adottate contro Mosca e di cui la Commissione europea ha annunciato il 14 marzo una quarta serie.
Questa falla è spiegabile, ma non giustificabile. Il 14 marzo il commissario europeo Thierry Breton ha dichiarato ai microfoni della radio pubblica France Inter che il vertice europeo di Versailles aveva dato mandato alla Commissione di preparare un piano per ridurre di due terzi la dipendenza europea dal petrolio e dal gas russi entro la fine dell’anno. “È un gesto di enorme portata”, ha sottolineato Breton.
Quando sulla bilancia si mette la questione dei prezzi energetici e delle possibili interruzioni della fornitura le cose cambiano subito
Il problema è che questa cifra impressionante non figura nelle conclusioni del vertice, anche se è stata citata più volte in precedenza dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Il testo di Versailles si accontenta di affermare quanto segue: “Abbiamo convenuto di affrancarci gradualmente dalla nostra dipendenza dalle importazioni di gas, petrolio e carbone russi”. Evidentemente è un impegno molto meno preciso.
Dunque bisognerà capire se entro la scadenza di quindici giorni fissata da Breton la soglia dei due terzi sarà approvata dal prossimo Consiglio europeo dei capi di stato e di governo, o se invece le esitazioni già emerse tra i 27 cancelleranno questo obiettivo ambizioso.
A Versailles alcuni paesi come gli stati baltici e la Polonia, più esposti alla guerra in Ucraina e alla minaccia russa e sostenuti dal capo della diplomazia europea Josep Borrell, hanno reclamato un embargo immediato, ma si sono scontrati con l’opposizione di Germania e Italia, per nulla pronte a un passo di questo tipo.
È il limite degli impegni europei. Nonostante l’emozione legittima suscitata dalle immagini sempre più terrificanti delle città ucraine e l’arrivo dei profughi, quando sulla bilancia si mette la questione dei prezzi e delle possibili interruzioni della fornitura le cose cambiano immediatamente.
La vicenda alimenta la frustrazione dei leader ucraini, che vorrebbero un sostegno più efficace. Servirà un assedio di Kiev o addirittura la caduta della capitale ucraina prima che i 27 si decidano ad agire in modo adeguato? “Non esistono tabù”, ha dichiarato l’11 marzo il presidente francese Emmanuel Macron al termine del vertice di Versailles. Ma allora perché aspettare?
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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