Per lungo tempo il fondatore della repubblica islamica, l’ayatollah Khomeini, ha definito la Francia un “piccolo Satana”, laddove il titolo di “grande Satana” spettava naturalmente agli Stati Uniti. In seguito i rapporti tra i due paesi hanno vissuto alti e bassi, ma ora siamo nuovamente entrati in un’era glaciale.

Il 16 novembre le autorità iraniane hanno accusato i servizi segreti francesi di aver orchestrato il movimento di protesta scaturito dalla morte della giovane donna Mahsa Amini mentre si trovava in custodia. La Francia conta il maggior numero di cittadini imprigionati nelle galere della repubblica islamica, ben sette. La più “anziana” è Fariba Adelkhah, antropologa franco-iraniana detenuta dal 2019, mentre i più recenti sono stati annunciati nel fine settimana. Si tratta di due nuovi detenuti, o sarebbe meglio dire ostaggi, la cui identità non è stata rivelata.

Evidentemente per capire la situazione bisogna tenere conto del contesto. L’11 novembre Emmanuel Macron ha ricevuto all’Eliseo quattro donne iraniane manifestando chiaramente il suo sostegno alla rivolta delle ragazze – ma anche dei ragazzi – che chiedono libertà.

Speranze cancellate
A prescindere dalle ragioni per cui Macron abbia scelto di prendere posizione, il suo gesto ha trasformato subito la Francia in un capro espiatorio ideale, l’agente esterno che spiega la portata delle manifestazioni, anche se nessuno ci crede. Ma in realtà la spiegazione congiunturale non basta.

Il problema è legato anche all’evoluzione dei rapporti tra l’Iran e il mondo negli ultimi anni e al ruolo interpretato dalla Francia. Nel 2015 l’Iran ha firmato con gli Stati Uniti, i paesi europei, la Russia e la Cina un accordo sul nucleare che prevedeva la fine del programma militare iraniano in cambio della cancellazione delle sanzioni.

Molti osservatori avevano previsto un’apertura dell’Iran, con il ritorno degli scambi commerciali, del turismo e degli investimenti. La popolazione era scesa in piazza a Teheran per festeggiare un’intesa portatrice di speranza.

Oggi l’Iran fornisce droni alla Russia e non si preoccupa più di mantenere una facciata presentabile

Ma nel 2018 Donald Trump ha fatto saltare l’accordo cancellando ogni speranza. Le sanzioni sono state ripristinate e il programma nucleare iraniano ha ripreso il suo percorso. La Francia ha tentato invano di rimettere insieme i pezzi. Ne è un esempio la vicenda del G7 di Biarritz del 2019, quando Macron aveva provato a organizzare un incontro tra Trump e il ministro degli esteri iraniano dell’epoca, il riformista Javad Zarif.

Alla fine l’iniziativa non è andata in porto, ma la Francia era stata considerata un paese amico, seppure con qualche riserva.

Da allora si è verificata una doppia evoluzione: da un lato l’elezione di un presidente conservatore in Iran, Ebrahim Raisi, dall’altro il riavvicinamento tra Teheran e il campo dei paesi che contestano l’ordine occidentale. Oggi l’Iran fornisce droni alla Russia e non si preoccupa più di mantenere una facciata presentabile.

Nel frattempo il programma nucleare va avanti. Secondo fonti francesi l’Iran si sta avvicinando a grandi passi alla “soglia nucleare”, ovvero il momento in cui sarà in grado fabbricare una bomba atomica. Secondo Parigi sarebbe questione di settimane o al massimo di mesi.

L’Iran sembra aver fatto la sua scelta (mai espressa chiaramente ma solo in modo da prendere tempo): intende procedere verso l’arma nucleare anziché cercare di riallacciare i rapporti con Washington e gli occidentali ridando vita all’accordo del 2015. L’esempio nordcoreano dimostra che nessuno vuole attaccare un paese dotato dell’atomica. La bomba, dunque, è un’assicurazione sulla vita.

Nel frattempo il potere dei mullah reprime impietosamente la popolazione senza tenere conto delle proteste occidentali e delle nuove sanzioni, anche perché ne subisce già talmente tante che non fa molta differenza. In questo contesto è molto utile indicare un colpevole, e la Francia è il candidato ideale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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