L’Ucraina aveva sicuramente bisogno di una buona notizia, che è arrivata l’8 novembre da Bruxelles con la decisione della Commissione europea di aprire le discussioni sull’adesione di Kiev all’Unione. Non è stata una sorpresa, considerando che qualche giorno fa la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, era nella capitale ucraina per informare Volodymyr Zelenskyj.
La decisione di Bruxelles non significa che l’Ucraina diventerà subito il 28° paese dell’Unione europea, perché il cammino è lungo e ci sono diverse tappe da completare. Ma la notizia è importante, tanto per l’Ucraina quanto per la Moldova.
Per l’Ucraina l’annuncio di Bruxelles ha un sapore rassicurante. Gli alleati europei non l’hanno infatti dimenticata, e questo nonostante la guerra in Europa sia sparita da un mese dai mezzi d’informazione, oscurata dal conflitto tra Israele e Hamas. Ma il sostegno dell’Europa non è l’unico argomento che preoccupa Kiev.
Intanto c’è il fallimento della controffensiva lanciata in estate, che non è riuscita a superare le linee di difesa russe e a raggiungere il mare d’Azov prima dell’inverno, come previsto. Il fronte è diventato statico e la guerra rischia di durare ancora a lungo.
A questo si aggiungono le divisioni che emergono negli Stati Uniti sul sostegno a Kiev, che inevitabilmente cresceranno con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali nel paese. Lo stesso vale, in misura minore, anche per l’Europa.
Per definire questa situazione si usa un’espressione sgradevole, parlando di “stanchezza” rispetto all’Ucraina. Come se i paesi che sostengono la guerra senza farla avessero il diritto di tirarsi indietro. Non è un comportamento lodevole, ma è una realtà. Anche se finora nessuno ha chiesto agli ucraini di smettere di combattere e avviare un negoziato, Kiev teme uno sviluppo di questo tipo.
Gli occidentali moltiplicano le promesse di sostegno al paese attaccato dalla Russia, confermate in settimana dai ministri degli esteri del G7 in occasione del vertice in Giappone. Ma resta la “concorrenza” (un’altra parola sgradevole) con il Medio Oriente, che ha inevitabilmente rimescolato le carte.
Al di là del sostegno militare – che gli Stati Uniti garantiscono sia all’Ucraina sia a Israele – e dello sforzo diplomatico, ci sono gli equilibri politici. Al momento l’appoggio incondizionato degli occidentali a Israele dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre si scontra con le immagini di distruzione e morte provocate dalla risposta israeliana a Gaza. Buona parte del mondo manifesta con forza la sua vicinanza alla causa palestinese e constata che gli occidentali non fanno assolutamente nulla per mettere fine alla tragedia dei civili a Gaza. Le proposte umanitarie, chiaramente, non bastano.
Il riferimento al diritto internazionale su cui gli occidentali avevano basato la loro difesa dell’Ucraina crolla davanti a decenni di sofferenze dei palestinesi. Il veto statunitense all’Onu sulla tregua umanitaria a Gaza suona come una conferma dell’accusa rivolta dal sud globale all’occidente di adottare due pesi e due misure.
Questa incoerenza nuoce alla causa ucraina e favorisce Vladimir Putin. L’aggressore dell’Ucraina, infatti, oggi si presenta come difensore dei palestinesi bombardati. In questo senso l’Ucraina corre il rischio di diventare un’altra vittima collaterale delle bombe israeliane.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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