Georgia, Moldova, Macedonia del Nord: oggi questi tre paesi vivono situazioni politiche molto diverse, ma tutte sono legate al rapporto con l’Unione europea e potenzialmente anche alla stabilità del continente, all’ombra della guerra in Ucraina.
Il 14 maggio l’Inno alla gioia – simbolo europeo, se ce n’è uno – ha risuonato davanti al parlamento di Tbilisi, capitale della Georgia. Ma all’interno del parlamento l’ambiente era molto diverso: i deputati, infatti, sono venuti alle mani durante l’approvazione di una legge molto controversa che da giorni alimenta la tensione nel paese caucasico.
La legge sui cosiddetti agenti stranieri, ispirata a un testo che in Russia ha limitato drasticamente la libertà di espressione della società civile, è stata adottata con 84 voti favorevoli e 30 contrari. L’approvazione è avvenuta nonostante la grande mobilitazione di piazza. Subito dopo la votazione, la polizia ha disperso violentemente i manifestanti.
Sotto pressione da parte di Mosca, il governo georgiano non ha voluto tenere conto degli avvertimenti europei, secondo cui la legge rappresenterà “un ostacolo per la Georgia nella prospettiva europea”. Ma il governo ritiene che senza la nuova legge il paese rischierebbe lo stesso destino dell’Ucraina. Limitare le libertà per non rischiare di essere destabilizzati dalla Russia. Siamo arrivati a questo.
La Moldova ha fatto la scelta opposta e si prepara a firmare un accordo di sicurezza con l’Unione europea che le permetterà di ottenere una fornitura di armi finanziata dai 27, oltre a scambi di informazioni e progetti comuni. Il paese gode già dello status di candidato all’adesione.
L’accordo provocherà inevitabilmente l’ira di Mosca, che non intende permettere che le ex repubbliche sovietiche si avvicinino all’occidente. La Moldova alza la posta in un momento in cui un terzo del suo territorio è occupato dalle forze russe. La coraggiosa presidente del paese, Maia Sandu, ha scelto l’Europa e rifiuta di fare la minima concessione.
Il terzo paese è la Macedonia del Nord, una delle ex repubbliche jugoslave. La nuova presidente Gordana Siljanovska-Davkova ha prestato giuramento il 13 maggio dopo essere stata eletta da una larga maggioranza. Candidata di un partito nazionalista, Siljanovska potrebbe rimettere in discussione l’orientamento europeo seguito dai suoi predecessori. Le sue prime dichiarazioni hanno fatto scalpore, soprattutto in Grecia. La presidente, infatti, si è rivolta al suo paese chiamandolo solo Macedonia, e non Macedonia del Nord, nome concordato con Atene per evitare qualsiasi confusione con la Macedonia greca.
Con l’invasione dell’Ucraina, l’Unione ha capito che il suo destino si gioca anche alla sua periferia. Il potenziale destabilizzante dei Balcani e dell’Europa orientale è enorme. La Russia non è l’unica potenza coinvolta. Anche la Cina, la Turchia e l’Iran hanno individuato in queste aree un punto debole del continente che può essere sfruttato per i loro interessi.
Gli abitanti dei tre paesi condividono il desiderio di entrare a far parte dell’Unione europea, garanzia di prosperità e libertà. Tuttavia una parte della popolazione è sensibile anche alle sirene nazionaliste e populiste, spesso incoraggiate da Mosca.
L’Unione non può disinteressarsi del destino dei suoi vicini, quasi tutti candidati all’adesione. Tutti questi paesi sono al centro di una lotta che dipende largamente dall’esito della guerra in Ucraina. La Georgia è il migliore esempio di questa dinamica, con una popolazione che non intende rinunciare al suo “sogno europeo”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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