Quando un portavoce dell’esercito di un paese in guerra smentisce il capo del governo, c’è sicuramente un problema. È quello che è successo questa settimana in Israele, e non è nemmeno l’unica frizione tra i militari e l’esecutivo nel bel mezzo di un conflitto che non rallenta.

La dichiarazione rilasciata a un’emittente televisiva da Daniel Hagari, portavoce dell’esercito israeliano, ha creato scompiglio. Secondo Hagari chi parla di cancellare Hamas “getta polvere sugli occhi” dell’opinione pubblica israeliana. Peccato che questo sia precisamente l’obiettivo dichiarato della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu.

Hagari, se possibile, è stato ancora più esplicito: “Hamas è un’idea, un partito radicato nell’animo della gente. Chiunque pensa di poterlo eliminare si sbaglia”. Sentendosi chiamato in causa, Netanyahu ha immediatamente diffuso un comunicato per ribadire che “la distruzione delle strutture militari e politiche di Hamas” resta uno degli obiettivi della guerra, chiedendo all’esercito di lavorare per raggiungerlo.

Sarebbe stato un caso isolato, se solo 48 ore prima Netanyahu non avesse già contraddetto una dichiarazione dello stato maggiore. I vertici dell’esercito, infatti, avevano decretato una pausa quotidiana di qualche ora dei combattimenti a Gaza per lasciare passare gli aiuti umanitari, ma il primo ministro ne è sembrato sorpreso e ha cercato di far annullare la decisione.

Questi contrasti sono il segno non tanto di un disaccordo sul conflitto scatenato da Israele dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ma del clima teso che circonda la figura di Netanyahu. È uno dei grandi paradossi emersi negli otto mesi di questa guerra punitiva, di cui l’Onu ha chiesto invano la fine: la maggioranza degli israeliani sostiene l’esercito ma non si fida del capo del governo.

Ogni settimana manifestazioni oceaniche invocano il ritorno alle urne e la liberazione degli ostaggi. L’uomo che sarebbe senz’altro eletto primo ministro in caso di elezioni anticipate, l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz, di recente ha sbattuto la porta del gabinetto di guerra accusando Netanyahu di portare avanti il conflitto per motivi personali.

Il primo ministro mantiene la maggioranza in parlamento grazie al sostegno dell’estrema destra, ma questo lo costringe a navigare in acque turbolente e a fare concessioni agli alleati, come il trasferimento di una parte della gestione amministrativa della Cisgiordania occupata a uno dei capi dell’estrema destra, Bezalel Smotrich, legato al movimento dei coloni. Un gesto provocatorio che tuttavia ha permesso a Netanyahu di conservare il potere.

Il primo ministro, nel frattempo, punta sulle rivalità tra i due candidati alle elezioni statunitensi. Netenyahu ha appena lanciato un attacco sfrontato contro Joe Biden, accusandolo di aver bloccato la consegna di alcuni armamenti a Israele. La dichiarazione è stata immediatamente sfruttata dai repubblicani per prendere di mira il presidente democratico. Il mese prossimo Netanyahu parlerà davanti al congresso, su invito della maggioranza repubblicana della camera.

Questo caos politico avvantaggia prima di tutto Netanyahu, abituato a navigare a vista. Tra l’intransigenza di Hamas e le manovre politiche del presidente del consiglio israeliano, l’unica cosa certa è che l’orrore della guerra non si fermerà.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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