Quello in corso dietro le quinte della guerra in Medio Oriente è uno strano negoziato. Il Washington Post ha rivelato che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha garantito agli Stati Uniti che non colpirà le strutture petrolifere iraniane quando il suo paese risponderà al recente attacco di Teheran contro lo stato ebraico, aggiungendo che risparmierà anche gli impianti del programma nucleare.

Tanto è bastato perché i mercati finanziari si rassicurassero e il costo del greggio, già influenzato dal calo della domanda cinese, facesse registrare un leggero calo. L’obiettivo è stato raggiunto. Un attacco israeliano contro il settore petrolifero iraniano, potenzialmente seguito da rappresaglie nei paesi petroliferi del Golfo, rischiava di far impennare il prezzo del petrolio fino a livelli stratosferici. A duecento dollari al barile – il 15 ottobre non arrivava a 73 dollari – il prezzo del petrolio provocherebbe una crisi economica mondiale.

Gli Stati Uniti si ritrovano nella posizione estremamente ambigua di negoziare i bersagli con Israele continuando allo stesso tempo a negare ogni responsabilità per la brutalità delle guerre israeliane, da Gaza all’Iran, passando per il Libano.

La priorità dell’amministrazione Biden è chiaramente quella di evitare qualsiasi escalation, che potrebbe avere conseguenze sulle elezioni statunitensi ad appena tre settimane dal voto. Una crisi petrolifera come quella del 1973, quando il prezzo del barile improvvisamente quadruplicò, rilancerebbe la paura dell’inflazione e penalizzerebbe Kamala Harris, per non parlare del rischio di vedere i soldati americani coinvolti in una guerra che Washington non vuole.

Da un anno Netanyahu approfitta dell’ambiguità statunitense. Il primo ministro israeliano non ha accolto le richieste di Washington di lavorare per ridurre il numero di vittime civili a Gaza e di un cessate il fuoco in Libano, ma questo non ha impedito alla Casa Bianca di consegnare a Israele le armi e le munizioni di cui ha bisogno.

L’Iran è una faccenda diversa, a causa del rischio di un’escalation che coinvolgerebbe gli Stati Uniti. Questo è il motivo del negoziato sugli obiettivi militari. Lo stato ebraico non è soddisfatto, anche perché Netanyahu desidera da tempo colpire il programma nucleare iraniano e indebolire Teheran. Se le informazioni del Washington Post sono corrette, possiamo stare certi che a Tel Aviv c’è molta frustrazione.

L’impegno del primo ministro israeliano a non colpire strutture petrolifere e nucleari iraniane è un passo importante anche se, come sottolinea ironicamente il quotidiano israeliano Haaretz, “Biden sarà sicuramente abituato allo scarso valore delle promesse di Netanyahu”. Detto questo, bisogna notare che dell’accordo fa parte la consegna di un sistema antimissile statunitense con un centinaio di soldati per manovrarlo.

La situazione è comunque paradossale: Israele conduce le sue guerre a oltranza a Gaza e in Libano, ignorando gli appelli per un cessate il fuoco, ma allo stesso tempo modera l’aggressione contro l’Iran per soddisfare Washington. Conclusione? Quando gli Stati Uniti vogliono, possono.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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