In politica c’è un frasario standard per reagire a ogni situazione e il repertorio in caso di tempesta giudiziaria è ricco di soluzioni. Superata la prima opzione di fondo – da una parte “giustizia a orologeria”, dall’altra “lasciamo lavorare la magistratura” – c’è poi il catalogo delle contromisure annunciate dove spicca l’angosciato e urgente “ora bisogna ricostruire da zero”.
A Roma, per esempio, è questa la trincea lessicale nella quale si è attestato il Partito democratico (Pd), partito di maggioranza investito pesantemente dall’inchiesta sulla mafia nella capitale.
Anzi, a leggere bene alcune dichiarazioni, l’auspicio stavolta è di ricostruire “da uno”, ovvero dal sindaco Ignazio Marino, estraneo all’indagine e per giunta avversato da molti esponenti del Partito democratico finiti nella lista degli indagati.
Si è così compiuta nell’arco di pochi giorni una piroetta completa: lo stesso Marino che, nei giorni del caso della Panda rossa, da molti suoi compagni di partito era stato offerto all’opinione pubblica come una calamità naturale inspiegabilmente abbattutasi sulle loro teste, è diventato esempio preclaro, baluardo morale e – appunto – pilastro politico della riedificazione. Era fasulla la prima rappresentazione, non lo è meno la nuova.
C’è da rallegrarsi che la prima istituzione cittadina sia rimasta limpida mentre tutto intorno è solo fango, ma temiamo che non basterà a restituire un progetto di governo della città, se questo manca, né sarà sufficiente la conclamata indecenza di ampi settori del Pd romano a fare di Marino un Ernesto Nathan o un Luigi Petroselli.
Stefano Cappellini è un giornalista. Lavora al quotidiano Il Messaggero.
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