Un emendamento introdotto all’ultimo minuto nella legge di stabilità taglia le cosiddette pensioni d’oro. Si riducono del 6 per cento le pensioni al di sopra dei novantamila euro all’anno e del 18 per cento quelle al di sopra dei 190mila euro. Sono pensioni che forse uno stato non dovrebbe mai erogare, ma quando si interviene su prestazioni già esistenti bisogna fare attenzione. I tagli dovrebbero basarsi non solo sull’importo delle pensioni, ma anche sul rapporto tra le prestazioni e i contributi versati durante la vita lavorativa.

Uno studio di Fabrizio e Stefano Patriarca pubblicato su

lavoce.info stima che per le pensioni di anzianità dei dipendenti privati maturate dopo il 2008 ci sia un premio di 3,5 miliardi rispetto ai contributi versati. Oggi le pensioni di anzianità gravano sul bilancio dello stato per circa 110 miliardi all’anno, di cui la metà per importi maggiori di duemila euro al mese. Stimando il premio rispetto ai contributi versati in circa il 40 per cento delle pensioni di anzianità che pagano più di duemila euro al mese, la base tassabile è di ventidue miliardi. Quindi un contributo di solidarietà del 5 per cento potrebbe fruttare circa un miliardo.

Un secondo principio è quello di non scoraggiare i lavoratori dal versare i contributi. Tassando solo la differenza tra contributi e prestazioni si darebbe un messaggio importante: non toccheremo le pensioni che state maturando con i versamenti attuali. Ormai, infatti, è in vigore per tutti il sistema contributivo, che calcola le pensioni in base a quanto versato durante l’intero arco della vita lavorativa.

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