La doppia esplosione che ha colpito il centro di Baghdad il 21 gennaio ha riacceso i timori di un ritorno del gruppo Stato islamico (Is) in Iraq. Almeno 32 persone sono rimaste uccise e 110 ferite nei due attacchi kamikaze in piazza Tayaran (piazza dell’Aviazione), nei pressi della centrale piazza Tahrir. Per anni la piazza è stata a lungo uno degli obiettivi preferiti dell’Is negli anni in cui gli attentati erano quasi quotidiani, perché si tratta di un luogo molto affollato e frequentato soprattutto da sciiti, per lo più venditori ambulanti poveri e i loro acquirenti.

Dopo la sconfitta dell’Is nel dicembre 2017 piazza Tayaran e la vicina piazza Tahrir hanno potuto godere di un periodo di pace senza autobombe, e sono diventate il fulcro delle proteste che hanno avuto luogo tra il 25 ottobre 2019 e la fine del 2020.

Queste ultime due sanguinose esplosioni coincidono con un momento di cambiamenti a livello nazionale e internazionale: l’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden; il rinvio all’ottobre del 2021 delle elezioni irachene previste per giugno; il ritiro delle forze statunitensi alla fine del mandato di Donald Trump (solo 2.500 soldati statunitensi rimangono oggi in Iraq a scopo di addestramento delle truppe irachene); e l’ascesa delle milizie filoiraniane nei confronti dell’esercito ufficiale.

Massima allerta
Le esplosioni di giovedì hanno sconvolto i cittadini iracheni, già sofferenti a causa dell’epidemia di covid-19 e della drastica contrazione dei loro redditi causata dal calo dei prezzi del petrolio.

Gli attentati hanno scosso anche il governo iracheno, impegnato in una fase molto critica. Il primo ministro Mustafa al Kadhimi in un vertice urgente ha incontrato i capi della sicurezza immediatamente dopo l’attacco per “verificare quali sono state le falle nella sicurezza che hanno permesso ai terroristi di infiltrarsi”. Il premier ha ordinato alle forze armate di mettersi in stato di massima allerta per scongiurare qualunque altro piano terroristico contro gli iracheni.

Il portavoce del ministero dell’interno, il generale Khalid Muhanna, ha tentato di rassicurare la popolazione affermando che queste esplosioni non distruggeranno “la sicurezza relativa di cui i cittadini hanno goduto”, e ha dichiarato che non c’è da aspettarsi nuovi attentati.

Ma è difficile credergli, considerata la presenza clandestina in Iraq di circa cinquemila combattenti dell’Is e di altri cinquemila nella vicina Siria, pronti ad attraversare i confini e in attesa del momento adatto per poter annunciare: “Siamo ancora qui!”.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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