La rivelazione

“Io? Assolutamente no. Comunque, la società islandese con cui ho lavorato aveva legami con società offshore, anche con – come si chiama? – i sindacati. Quindi dev’essere accaduto attraverso questi accordi, ma ho sempre dichiarato al fisco i miei soldi e quelli della mia famiglia. Perciò non c’è mai stata nessuna, nessuna delle mie proprietà nascosta da qualche parte. La domanda è abbastanza inconsueta, per un politico islandese. È come se fossi accusato di qualcosa, ma posso confermare di non aver mai nascosto i miei averi”.

In Islanda la primavera ha portato la notizia che il primo ministro Sigmundur Davíð Gunnlaugsson e la moglie avevano gestito il patrimonio della donna attraverso una società registrata dallo studio legale panamense Mossack Fonseca nel paradiso fiscale delle Isole Vergini Britanniche. Gunnlaugsson è l’unico politico occidentale di questo rilievo ad avere legami comprovati con le società offshore. E sono islandesi tre dei quattro ministri dell’Europa occidentale con legami del genere: il primo ministro, per l’appunto, il ministro delle finanze e la ministra dell’interno.

La sera del 3 aprile il mondo ha osservato Gunnlaugsson mentre con aria imbarazzata non riusciva a trovare una risposta accettabile alle domande sulla società offshore, fino ad allora rimasta segreta. Quando si è alzato interrompendo l’intervista, ha lasciato i suoi concittadini esterrefatti davanti agli schermi televisivi, e ha lasciato anche il suo posto di primo ministro. Ma la sua è stata un’uscita di scena prolungata.

La mattina del 4 aprile, all’indomani della trasmissione televisiva, quando i giornalisti gli hanno chiesto se temesse la reazione dell’opinione pubblica, Gunnlaugsson (per sfidare il destino o semplicemente in preda al delirio) ha risposto con tono provocatorio che “non tutti i cittadini” avrebbero partecipato alla manifestazione organizzata per il pomeriggio dello stesso giorno.

Si sbagliava: gli organizzatori hanno contato ventimila persone (il 7 per cento della popolazione) alla manifestazione davanti all’alþingi, il parlamento islandese. Una partecipazione senza precedenti. Il 5 aprile il governo è andato in pezzi in diretta televisiva. La stessa sera altri esponenti dell’esecutivo hanno finalmente annunciato che Gunnlaugsson si sarebbe dimesso e che sarebbe stato sostituito dal ministro della pesca Sigurður Ingi Jóhannsson.

Davide e Golia allo stesso tempo

Sono stato sempre pronto a sacrificare tutto per il mio paese, anche il denaro di mia moglie.

Nel 2008 le tre principali banche islandesi erano fallite per un debito complessivo superiore di 8,5 volte al prodotto interno lordo del paese. Da un giorno all’altro la retorica politica tradizionale dell’Islanda, neoliberista fin dalla metà degli anni novanta, era diventata obsoleta e nel 2009 era andata al governo, per la prima volta nella storia della repubblica, una coalizione interamente di sinistra. I socialdemocratici e i verdi hanno governato per un intero mandato, mettendo in ordine la casa dopo la festa (per usare un’espressione cara a diversi ministri).

Quei quattro anni sono bastati alla destra per ricompattarsi e usare un nuovo vocabolario: guidato dal suo presidente Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, il Partito del progresso, centrista-opportunista, si è reinventato come forza antiglobalizzazione e anticapitalista ottenendo un risultato sufficiente a formare un’altra coalizione conservatrice con il Partito dell’indipendenza (di destra).

La società offshore segreta della moglie del primo ministro era uno dei famosi creditori delle banche islandesi

La campagna del Partito del progresso del 2013 si è basata su un solo principio: con i creditori esteri Gunnlaugsson sarebbe stato più implacabile dei socialdemocratici, accusati di cercare sempre un compromesso e di essere sottomessi all’Europa. D’altronde Gunnlaugsson aveva già dato prova delle sue capacità guidando con successo la campagna contro il rimborso dei capitali persi dai clienti britannici, tedeschi e olandesi che avevano aperto i cosiddetti conti Icesave presso la Landsbankinn.

Come capo del governo, Gunnlaugsson ha promesso di usare tutti gli strumenti a sua disposizione per garantire il miglior esito possibile contro gli “avvoltoi”, come ha definito i creditori stranieri che dovevano ancora riavere parecchi soldi dalle banche islandesi. Il denaro risparmiato in questo modo non sarebbe stato sprecato: il governo guidato da Gunnlaugsson avrebbe letteralmente trasferito il contante dalla banca centrale ai conti di migliaia di islandesi proprietari di case per alleggerirne i mutui a tasso indicizzato. Il piano, battezzato con il nome di “La correzione”, ha garantito a Gunnlaugsson il ruolo di leader del governo.

La notizia che Gunnlaugsson, l’uomo che ha scelto per sé il ruolo di Davide, era allo stesso tempo Golia ha sconvolto i suoi sostenitori ma anche i suoi avversari. Anche perché si è scoperto che la società offshore segreta della moglie era uno dei famosi creditori delle banche islandesi. In sostanza Gunnlaugsson aveva un piede in due staffe.

Salvare le apparenze

Nel 2010 l’Islanda aveva risposto alla crisi creando una partnership pubblico-privata chiamata Promote Iceland, il cui obiettivo era quello di “migliorare l’immagine e la reputazione dell’Islanda e attirare turisti e investitori”. Coltivando il rapporto con l’opinione pubblica attraverso campagne sui social media, con festival musicali, con l’acquisto di “product placement” in produzioni cinematografiche e l’invito di oltre 500 giornalisti stranieri, l’istituto ha certamente aumentato la “diffusione del marchio” e contribuito al boom vacanziero in Islanda: nel 2014 l’industria del turismo ha superato la pesca diventando la prima del paese.

È stato tenuto lontano dai riflettori tutto quel che contrastava con la nuova immagine dell’Islanda fatta di cascate, geyser e buone notizie

Qualsiasi forma di attenzione internazionale rivolta al minuscolo stato insulare è stata sempre in linea con l’accento posto da Promote Iceland sulla natura, l’arte, e i loro rapporti. Al contempo, qualsiasi forma di attenzione rivolta alla politica è stata limitata ai progetti avviati durante il mandato del governo della sinistra (2009-2013) e successivamente cancellati dalla destra.

La manifestazione a Reykjavík per chiedere le dimissioni del primo ministro Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, il 4 aprile 2016. (Birgir Por Hardarson, Epa/Ansa)

I vecchi padroni tornati al governo si sono impegnati ad annullare qualsiasi misura drastica: hanno abbreviato condanne definitive per i banchieri, cancellato il processo per riscrivere la costituzione “dal basso”, cancellato la procedura d’accesso all’Unione europea, annullato i sussidi per l’istruzione per gli adulti e così via. Le politiche e gli impegni che sembravano fuori luogo nella nuova “immagine” del paese sono state tenute lontane dalla luce dei riflettori riservata alle cascate, ai geyser e alle buone notizie.

Prove aneddotiche

Il Partito del progresso di Gunnlaugsson è nato grazie alla ricchezza rurale e con la missione di proteggere gli interessi dei proprietari terrieri, mentre il Partito dell’indipendenza si appoggia alla ricchezza urbana e difende gli interessi dei commercianti. Dalla metà del ventesimo secolo, però, entrambi i partiti hanno approfittato dei benefici dei conflitti moderni: nonostante avesse superato la seconda guerra mondiale senza eccessive perdite, l’Islanda ha ricevuto i maggiori aiuti pro capite dal piano Marshall.

Flirtando strategicamente con i russi, il paese ha usato la sua influenza per accedere ai mercati occidentali, effettuare importanti adeguamenti valutari e ottenere indulgenza quando, attraverso una serie di scontri con il Regno Unito conosciuti come “le guerre del merluzzo”, ha deciso unilateralmente di estendere le sue acque territoriali da 4 a 200 miglia nautiche. Al livello locale, l’odore del pesce è conosciuto come “profumo di soldi”.

Tra i diretti beneficiari nell’esercito c’era Gunnlaugur Sigmundsson, padre dell’ex primo ministro Gunnlaugsson. La carriera di Sigmundsson all’interno del Partito del progresso lo aveva portato fino alla carica di amministratore delegato di un’azienda finanziata dallo stato che gestiva il sistema radar della Nato in Islanda.

Al momento della privatizzazione dell’azienda, Sigmundsson e la moglie hanno acquistato azioni della compagnia a un prezzo fissato dallo stesso Sigmundsson. Tale padre, tale figlio. Quando l’opinione pubblica ha scoperto la manovra di Sigmundsson si è alzato un polverone, ma la transazione è rimasta valida e il patrimonio di famiglia garantito.

Il silenzio, il rumore

Aneddotiche, è vero. Le realtà politiche ed economiche dell’Islanda restano sostanzialmente aneddotiche. L’Islanda è un paese di segreti e misteri, solo che non si tratta di misteri del tipo “questa roccia è una chiesa di elfi”, ma di misteri più volgari che ruotano attorno al denaro, al potere accumulato in modo dubbio, alle famiglie e ai legami con l’ambiente militare.

L’Islanda è il genere di posto dove la maggior parte delle cose resta taciuta e niente è analizzato come dovrebbe. I politici sono abituati a parlare in gergo – né prosa né poesia, solo rumore senza senso in forma di linguaggio. Se questo paese ha partorito grandi musicisti probabilmente è anche grazie al fallimento del linguaggio: senza musica, il rumore sarebbe esasperante quanto il silenzio.

In base ai dati emersi finora, 600 cittadini islandesi controllano circa 800 società registrate offshore da Mossack Fonseca

“Come un incidente d’auto al rallentatore” (per usare le parole di John Oliver) il mondo ha osservato Gunnlaugsson balbettare per tutto il corso di un’intervista. “Per un politico islandese è strano ricevere una domanda come questa”, ha risposto il politico frastornato quando è stato messo davanti alla realtà dei fatti.

È vero, la domanda era bizzarra per un politico islandese. Alcuni giornalisti, però, hanno affilato la penna da quando il 2008 ha svelato l’inganno su cui si basavano l’ideologia al potere e l’intero settore settore finanziario del paese. A guidare il drappello c’è Jóhannes Kr. Kristjánsson, giornalista islandese che ha analizzato i Panama papers e ha preparato l’intervista shock di aprile. Kristjánsson è probabilmente il miglior giornalista d’inchiesta del paese, ma i tagli al bilancio successivi al 2008 ne hanno provocato il licenziamento dall’emittente pubblica Ríkisútvarpið (Rúv). Non una, ma due volte.

La manifestazione a Reykjavík per chiedere le dimissioni del primo ministro Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, il 4 aprile 2016. (Birgir Por Hardarson, Epa/Ansa)

Tutte scuse

In base ai dati emersi finora, 600 cittadini islandesi controllano circa 800 società registrate offshore da Mossack Fonseca. In un paese di 300mila abitanti si tratta di un numero enorme. A questo punto è difficile che ulteriori rivelazioni possano avere lo stesso effetto sismico di quelle sul primo ministro, ma restano da scoprire le dimensioni reali del fenomeno, ovvero quanta della ricchezza islandese è stata tolta dalla circolazione e messa al sicuro altrove.

Poco prima di dimettersi, Gunnlaugsson si è scusato per la figuraccia durante l’intervista e ha ammesso che avrebbe dovuto prepararsi meglio. Finora quelle di Gunnlaugsson sono le uniche scuse pronunciate da un funzionario pubblico islandese a proposito dei Panama papers. Il ministro delle finanze e la ministra dell’interno hanno giustificato la loro condotta in un modo che lascia perplessi: “Pensavo che fosse una società del Lussemburgo”, ha dichiarato il ministro delle finanze Bjarni Benediktsson dopo la scoperta dei suoi affari alle Seychelles. La ministra dell’interno Ólöf Nordal ha dichiarato che è stato il marito ad aprire la società a Tortola, senza informarla adeguatamente.

Anche se i suoi esponenti sono stati smascherati ancora una volta come una banda di criminali con intenzioni criminali, la coalizione resta al potere e davanti ai giornalisti stranieri ha annunciato l’intenzione “di organizzare nuove elezioni” al più presto, probabilmente in autunno. Ma non è stata fornita alcuna data.

Il cambiamento resta nell’aria

L’11 aprile, una settimana dopo il climax della turbolenza, come se fornisse le previsioni del tempo, la testata Vísir.is ha titolato “Copertura negativa all’inizio, poi toni neutrali o positivi”. L’argomento era l’effetto dei Panama papers sul marchio Islanda. Il giornalista ha contattato il ministro degli esteri per una dichiarazione, che ha risposto con il seguente comunicato:

La copertura delle dimissioni dell’ex primo ministro e del rimpasto di governo è stata neutrale. Le manifestazioni pubbliche sono state coperte ampiamente e sono generalmente considerate come un segno di democrazia attiva.

In altre parole: le dimissioni di Gunnlaugsson segnano la fine della storia, e i manifestanti potrebbero avere involontariamente fatto gli interessi economici del paese mettendo in scena per un giorno una parvenza di democrazia, salvandone il marchio. Dando l’impressione di portare il cambiamento, hanno puntellato l’edificio del potere tradizionale. Naturalmente, per qualcuno queste conclusioni sono buone notizie.

Per altri, molto meno. Migliaia di persone continuano a manifestare ogni giorno. Il cambiamento resta nell’aria. Il Partito pirata islandese, in origine una costola dell’omonimo partito svedese creato dagli hacker e dagli attivisti per la libertà digitale, ha conquistato un enorme seguito. I sondaggi degli ultimi 12 mesi lo danno tra il 30 e il 40 per cento. Tra i sostenitori del partito ci sono socialisti e libertari, sinistra, destra e centro, apparentemente uniti dalla volontà di abolire il gergo. Di pronunciare parole che abbiano un significato. Sarebbe già qualcosa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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