Il 30 gennaio il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha subìto una pesante battuta d’arresto quando il congresso dei deputati ha respinto il suo progetto di legge di amnistia per gli indipendentisti catalani.
La votazione dimostra la fragilità del suo governo, che si è insediato appena due mesi e mezzo fa.
Paradossalmente è stato il partito indipendentista Junts per Catalunya a votare contro la legge, sostenendo che non garantisse l’applicazione dell’amnistia al suo leader Carles Puigdemont, principale responsabile del tentativo di secessione della Catalogna nel 2017.
La bocciatura non comporta l’abbandono definitivo del testo, che tornerà in commissione per eventuali modifiche, ma illustra le difficoltà del governo, che senza i sette deputati di Junts per Catalunya non ha la maggioranza.
“Trovo incomprensibile che Junts per Catalunya voti contro una legge che ha contribuito a negoziare”, ha affermato il ministro della giustizia Félix Bolaños.
“Ogni votazione è un calvario”, ha ironizzato Alberto Núñez Feijóo, leader dell’opposizione di destra, che il 28 gennaio ha portato in piazza a Madrid 45mila persone contrarie all’amnistia.
La mattina del 30 gennaio Junts per Catalunya aveva chiesto garanzie sull’applicazione della legge anche a Puigdemont. Di fronte al rifiuto dei socialisti, il partito ha votato contro il testo, che ha ricevuto 171 voti a favore, cinque in meno della maggioranza richiesta (176 su 350).
Junts per Catalunya chiede che il testo garantisca l’applicazione dell’amnistia anche a chi è accusato di “terrorismo” e “tradimento”.
Gli indipendentisti catalani hanno posto come condizione per sostenere il governo Sánchez l’approvazione della legge di amnistia, che chiuderebbe i procedimenti giudiziari contro centinaia di politici e attivisti accusati di essere coinvolti nell’organizzazione di un referendum per l’autodeterminazione.
Tra loro c’è anche Puigdemont, fuggito in Belgio più di sei anni fa per evitare l’arresto.