Un enorme incendio divampato la sera del 18 giugno nel principale deposito di munizioni dell’esercito ciadiano ha causato una serie di esplosioni e alcune vittime tra gli abitanti della capitale N’Djamena, ha affermato il governo, senza fornire ulteriori dettagli.
“L’incendio non è di origine dolosa e in base ai primi accertamenti il numero delle vittime è contenuto”, ha dichiarato il 19 giugno all’Afp Abderaman Koulamallah, ministro degli esteri e portavoce del governo.
Poco dopo il ministro della salute Abdelmadjid Abderahim ha fornito un primo bilancio di nove morti e 46 feriti.
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Per due ore, nel cuore della notte, le esplosioni hanno illuminato il cielo sopra il distretto di Goudji, alla periferia nord della capitale, facendo tremare gli edifici fino a sei o sette chilometri di distanza, hanno riferito alcuni giornalisti dell’Afp.
“Ora la situazione è sotto controllo”, ha dichiarato il ministro della pianificazione Mahamat Assileck Halata.
Nella notte il presidente Mahamat Déby Itno ha fatto le sue condoglianze ai familiari delle vittime e la mattina del 19 giugno ha visitato il luogo del disastro.
Déby, un generale di 40 anni, è stato eletto presidente il 6 maggio con il 61 per cento dei voti in un’elezione boicottata e contestata dall’opposizione.
Aveva assunto il potere nell’aprile 2021 alla morte del padre, Idriss Déby Itno, ucciso dai ribelli nel corso di una visita al fronte, dopo aver governato il paese con il pugno di ferro per trent’anni.
A quel punto quindici generali fedeli all’ex capo dello stato avevano proclamato il figlio presidente di un’autorità di transizione che avrebbe dovuto restare in carica per diciotto mesi. La comunità internazionale non si era opposta, anche perché il Ciad è considerato un pilastro della lotta contro i gruppi jihadisti attivi nella regione del Sahel.
Ma la giunta aveva poi prorogato la transizione di altri due anni e, secondo alcune ong, i militari avevano ucciso più di trecento persone che partecipavano a manifestazioni di protesta.