Quando da bambina visitavamo qualche palazzo meraviglioso, castelli e antiche dimore, sentivo alle mie spalle la voce della mamma che tra sé diceva: quanto lavoro! Non esisteva una bellezza costruita dagli esseri umani di cui lei non mettesse in risalto le fatiche che c’erano volute a realizzarla, la pazienza e il lavorio costante per mantenerla in pulizia e decoro. L’idea delle fatiche che i palazzi suscitavano in lei mi ha sempre tenuta lontana dall’invidia di qualunque magione: quanto ci vorrebbe a scaldare una casa del genere? Ma al tempo stesso mi ha mostrato profondamente cos’è che permette ai signori di vivere nell’agio, dirigere gli eserciti e giocare a freccette: il lavoro di tutti quelli che ogni giorno accendono i fuochi, puliscono, costruiscono, tagliano, riparano. Alle scuole medie lessi Tebe dalle sette porte, chi la costruì? di Bertolt Brecht. Le sue domande erano le stesse di mia mamma: “Babilonia, distrutta tante volte, chi altrettante la riedificò?”. Ed è per questo che oggi mi chiedo cosa succederebbe se i collaboratori domestici dei signori della guerra del nostro tempo improvvisamente scioperassero. Smettessero di pulire quelle grandi dimore, di cucinare e di riparare. Di condurre i loro yacht, di lucidare le loro posate. Che siano quei signori una volta tanto a occuparsene e forse, realizzando quanta fatica c’è dietro alla custodia di una casa, smetteranno di bombardare quelle degli altri.

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Questo articolo è uscito sul numero 1577 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati