I Verdi tedeschi si considerano il partito del futuro e i difensori delle nuove generazioni. Eppure, almeno nel villaggio di Lützerath, dove centinaia di giovani hanno protestato per giorni contro l’ampliamento di una miniera di lignite, quest’immagine positiva sembra piuttosto appannata. Qui, per molti, Verdi è diventato sinonimo di compromessi al ribasso nelle stanze del potere. Le nuove leve del movimento ecologista, che nei giorni scorsi hanno assaggiato per la prima volta il manganello della polizia, minacciano di ritirare il loro sostegno al partito. I vertici dei Verdi a Berlino dovrebbero riflettere attentamente.
L’attivista svedese Greta Thunberg, per esempio, a Lützerath ha spiegato che con i Verdi tedeschi non ha nulla a che fare, e probabilmente non ha una grande stima di Robert Habeck e Annalena Baerbock, i due presidenti del partito. Alcuni attivisti ambientalisti hanno occupato la sede dei Verdi nel Nordreno-Vestfalia. Si oppongono all’accordo negoziato da Habeck, in base al quale l’abbandono del carbone avverrà otto anni prima del previsto nello stato ma l’azienda elettrica Rwe è autorizzata ad ampliare la miniera di Lützerath. Altri sono indignati per la violenza degli agenti contro i manifestanti, che secondo alcuni sono stati picchiati con la benedizione dei Verdi.
Nodi da sciogliere
Non è la prima volta che i vertici del partito devono fare i conti con la rabbia dei loro sostenitori. Più di vent’anni fa, quando erano al governo insieme al Partito socialdemocratico e alla Linke (sinistra), il movimento pacifista se la prese con il ministro degli esteri verde Joschka Fischer perché la Germania aveva sostenuto l’intervento militare della Nato in Kosovo. Poi fu la volta del ministro dell’ambiente Jürgen Trittin, che chiese agli attivisti di non andare a Gorleben per manifestare contro il trasporto delle scorie nucleari. Ogni volta si è parlato di tradimento. E ogni volta la conclusione è stata la stessa: gli ideali sono belli, ma governare è ancora più bello. Il partito ne è sempre uscito indenne.
Ma stavolta non è detto che sia possibile ricomporre la spaccatura tra il vertice e la base. Habeck, ministro dell’economia e vicecancelliere, ci sta provando. Senza le pressioni del movimento ambientalista l’accordo sul carbone nel Nordreno-Vestfalia non sarebbe stato possibile, ha ricordato in un video rivolto ai manifestanti di Lützerath. La guerra in Ucraina ha “un po’ rallentato” la tabella di marcia della transizione energetica. Ma l’obiettivo comune è sempre lo stesso: l’abbandono dei combustibili fossili.
Il problema è che nemmeno Habeck sa dire quando questa politica energetica leggermente “rallentata” potrà rientrare nei binari previsti. La pace in Ucraina non è imminente, e le fonti energetiche fossili resteranno insostituibili ancora a lungo. Inoltre si omette accuratamente di dire che per una parte degli ambientalisti, tra cui Greta Thunberg, l’energia atomica è un male minore rispetto al carbone. Molti esponenti più giovani dei Verdi la pensano allo stesso modo, ma non lo dicono a voce alta per non mettere in difficoltà i vertici del partito.
È l’ora di un confronto aperto: se i leader dei Verdi non avranno il coraggio di affrontarlo, saranno obbligati a farlo dal movimento ambientalista internazionale. Lützerath è solo l’inizio. ◆ nv
◆ A tre anni dal varo della coalizione con il Partito popolare austriaco (Övp), il settimanale viennese Falter fa un bilancio dell’esperienza dei Verdi al governo. “Nel 2020 il rapporto tra le forze sembrava sbilanciato a favore dell’Övp, ma pochi mesi dopo i Verdi sono riusciti a ottenere le dimissioni del cancelliere Sebastian Kurz, accusato di corruzione. Per evitare tensioni con gli alleati si sono concentrati sui temi ambientali, ottenendo risultati significativi come la tassa sulle emissioni di anidride carbonica e l’investimento di miliardi di euro nell’espansione della rete ferroviaria e nei sussidi alle energie rinnovabili. Secondo i sondaggi però gli elettori non vogliono un’altra coalizione tra i Verdi e l’Övp: c’è troppa distanza tra i due partiti sulle questioni sociali e sull’immigrazione”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1495 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati