Non occorreva essere appassionati di heavy metal e chitarre per apprezzare Richard Benson, musicista di origini britanniche e formazione trasteverina. Bastava avere una tv, scanalare tra le reti locali e puntare su Tva 40, emittente con sede nella villa Adriana, poco distante da Roma. In uno studio attrezzato con pannelli di legno e uno sgabello, Benson ha condotto per circa vent’anni L’ottava nota, rubrica dedicata ad artisti e 33 giri della scena indipendente snobbata da radio e festival. Incensava brani d’importazione, mandando in onda solo le copertine dei dischi. Lunghi minuti ad ascoltare composizioni progressive scrutando i dettagli statici delle cover come fossero tele di Hieronymus Bosch. Benson, dall’urlo facile e dalla veemenza del partigiano delle note bistrattate, imbracciava poi la chitarra per dare dimostrazione di arpeggi e assoli che avevano un solo criterio: la velocità. Da Paganini a Steve Vai, il discrimine era il virtuosismo spinto all’eccesso, come l’atleta ossessionato dai centesimi di secondo. L’inquietudine di Benson, le piroette sonore combinate con la pasta visiva delle televendite notturne erano uno sberleffo all’avanzata del gigante Mtv. Una piccola bottega senza futuro che perorava la causa di musiche futuristiche. Una tv minore senza un regista che ci distraesse con la creatività del montaggio. Forse era questo che voleva Benson: sbatterci in faccia la musica. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1460 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati