Sono in corso delle manovre per sostituire o quanto meno indebolire Kristalina Georgieva, attuale direttrice del Fondo monetario internazionale (Fmi). È la stessa Georgieva che con la sua risposta alla pandemia ha messo rapidamente a disposizione fondi per tenere a galla gli stati e affrontare la crisi sanitaria, e che si è spesa con successo perché l’Fmi emettesse “denaro” (diritti speciali di prelievo, o dsp) per un valore di 650 miliardi di dollari, fondamentale per la ripresa dei paesi più poveri. Sempre lei ha fatto sì che il fondo assumesse un ruolo di guida globale nella risposta alla crisi climatica. Per queste azioni Georgieva dovrebbe essere lodata. E allora qual è il problema? E chi c’è dietro il tentativo di screditarla?
Il problema è un’inchiesta che la Banca mondiale ha commissionato allo studio legale WilmerHale sull’indice annuale Doing business, una classifica realizzata dalla stessa Banca mondiale che valuta quanti paesi sono in grado di attirare investimenti e aziende. Il rapporto della WilmerHale contiene accuse, o più che altro allusioni, su presunte scorrettezze che coinvolgono Cina, Arabia Saudita e Azerbaigian, negli indici del 2018 e del 2020. Georgieva è finita sotto attacco per quello del 2018, quando era direttrice generale della Banca mondiale. Quell’anno la Cina occupava la 78ª posizione, la stessa dell’anno precedente. La WilmerHale sostiene che la Cina avrebbe dovuto scendere di posizione e avrebbe mantenuto la 78ª solo per il supporto dato a un aumento di capitale della Banca mondiale.
Perché si vuole screditare Kristalina Georgieva? Ci sono alcune persone che, non c’è da stupirsi, non sono contente della direzione che lei ha dato al Fondo monetario internazionale
L’unico risultato positivo di questa vicenda potrebbe essere che non si pubblicherà più l’indice Doing business. Quando ero capo economista alla Banca mondiale, ero convinto che non servisse a niente. Ho letto il rapporto della WilmerHale, ho parlato con le persone coinvolte e conosco bene l’intero processo: l’indagine mi sembra una scusa per rovinare la reputazione di Georgieva, che invece si è sempre comportata in modo professionale. Shanta Devarajan, che in quanto responsabile della supervisione dell’indice Doing business rispondeva direttamente a Georgieva nel 2018, ha ribadito di non aver mai ricevuto pressioni per modificare la classifica.
La stessa relazione della WilmerHale è bizzarra. Lascia intendere che ci sia stato uno scambio: la Banca stava cercando di raccogliere capitali e ha offerto valutazioni migliori per poterli ottenere. La Cina però era la sostenitrice più entusiasta di questo aumento di capitale della banca. Erano gli Stati Uniti di Donald Trump a essere più reticenti. Se l’obiettivo fosse stato quello di garantirsi l’aumento di capitale, il modo migliore per farlo sarebbe stato in realtà abbassare i punteggi della Cina. Il rapporto poi non spiega perché non include la testimonianza completa di Devarajan. “Ho passato ore a raccontare la mia versione dei fatti agli avvocati della Banca mondiale, che però hanno incluso nella relazione solo la metà di quello che ho detto”, ha dichiarato Devarajan. Il rapporto procede soprattutto per insinuazioni.
Il vero scandalo quindi è il documento della WilmerHale e il modo in cui David Malpass, presidente della Banca mondiale, ne esce pulito. Il documento riporta un altro episodio – il tentativo di promuovere l’Arabia Saudita nell’indice Doing business del 2020 – ma conclude che la dirigenza della Banca mondiale non ha avuto niente a che fare con questo. In realtà Malpass è andato in Arabia Saudita a pubblicizzare le presunte riforme del paese solo un anno dopo che i servizi segreti sauditi avevano ucciso il giornalista Jamal Khashoggi. A quanto pare, chi paga comanda.
Perché si vuole screditare Kristalina Georgieva? Ci sono persone che, non c’è da stupirsi, non sono contente della direzione che ha dato al Fondo monetario internazionale. Alcune pensano che non dovrebbe occuparsi di crisi climatica. Altre non hanno gradito lo slittamento su posizioni più progressiste: l’enfasi minore sull’austerità e la maggiore attenzione alla povertà, oltre che la consapevolezza più profonda dei limiti dei mercati. Ci sono poi anche le rivalità istituzionali di vecchia data tra l’Fmi e la Banca mondiale, acuite dal dibattito sulla gestione del nuovo fondo proposto per “riciclare” i diritti speciali di prelievo appena emessi dalle economie avanzate ai paesi più poveri. A questo si potrebbe aggiungere la componente isolazionista della politica statunitense, incarnata da Malpass, nominato da Trump, che si combina con un desiderio d’indebolire il presidente Joe Biden e di creare altri problemi alla sua amministrazione. E poi ci sono i normali conflitti personali.
Gli intrighi politici e le rivalità burocratiche però sono le ultime cose di cui il mondo ha bisogno in un momento in cui la pandemia e il suo impatto sull’economia stanno costringendo molti paesi ad affrontare una crisi del debito. Oggi più che mai abbiamo bisogno della determinazione di Georgieva all’Fmi. ◆ gim
joseph stiglitz insegna economia alla Columbia university. È stato capo economista della Banca mondiale e consulente economico del governo statunitense. Nel 2001 ha vinto il premio Nobel per l’economia.
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Questo articolo è uscito sul numero 1429 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati