Maria Sardella
La culla sull’abisso
Transeuropa, 160 pagine, 16 euro

Nello stato di New York sono già stati accesi i riscaldamenti, i condizionatori ronzavano fino a due settimane fa e la raccolta differenziata potrebbe funzionare meglio: per quanto io sia stata lontana dal resto del mondo, in queste settimane non sono mancati gli spunti per parlare di cambiamento climatico. È la frequenza con cui si parla di questo tema ad avermi spinto verso La culla sull’abisso, romanzo distopico su un futuro abbastanza plausibile. In un pianeta assediato dall’innalzamento delle acque, una comunità abruzzese si autogoverna tra commissioni cittadine, tessere per il razionamento dei viveri, la scomparsa del mondo come lo si conosceva e la comparsa della Linea, un confine di melma putrida che minaccia d’inghiottire quel che resta di umano. Un’altra linea divide in due il romanzo: da un lato una trama sostenuta da dialoghi poco convincenti in cui il soprannaturale viene in aiuto a una logica interna fragile; dall’altra un’ambientazione sorprendente (che mi ha riportato alla Melma rosa di Fernanda Trías), su cui incombe una natura “indifferente e terribile”. Di alcuni libri giungono forte l’intento oltre la solidità della struttura, la potenzialità oltre l’esattezza delle frasi. L’uno e l’altra, in questo romanzo, riescono a raccontare il domani che forse ci aspetta, e mi sembra un motivo più che sufficiente per leggerlo. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1531 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati