Dopo un anno di minuziose analisi delle pubblicazioni scientifiche e degli archivi delle autorità nazionali, un gruppo di scienziati finanziato dal Consiglio di ricerca norvegese ha compilato un elenco di più di 16mila “sostanze chimiche plastiche”, i composti trovati o ritenuti presenti nelle plastiche, tra cui materie prime e additivi come stabilizzatori e coloranti.
Di questi almeno 4.200 sono “persistenti, bioaccumulabili, mobili e/o tossici”. Secondo il principale autore Martin Wagner, esperto di tossicologia ambientale dell’università norvegese di scienze e tecnologia di Trondheim, “è un dato sconcertante”. Il gruppo ha inoltre scoperto che non sono disponibili i dati sui rischi di più di diecimila sostanze chimiche, e che per più di novemila non esistono informazioni pubbliche sulle plastiche in cui sono usate. Secondo Wagner la difficoltà di trovare dati dipende in parte dal fatto che l’industria non sempre condivide le informazioni proprietarie. Per i ricercatori questo rende ancora più urgente la stesura di un elenco dei dati noti.
Il rapporto è stato pubblicato poche settimane prima del prossimo appuntamento dei negoziati delle Nazioni Unite per un trattato globale contro l’inquinamento da plastica. Gli scienziati chiedono che il trattato comprenda l’elenco dei polimeri e delle sostanze chimiche preoccupanti, alcune delle quali finiscono negli alimenti, nell’acqua e nell’ambiente, con conseguenze nocive per la salute umana e gli ecosistemi. I colloqui proseguiranno in Canada ad aprile e si concluderanno in Corea del Sud a dicembre.
Anche se quasi mille sostanze chimiche preoccupanti sono coperte da iniziative globali come la convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti, gli autori hanno stilato una “lista rossa” di sostanze che non sono ancora regolamentate. “Il messaggio è chiarissimo”, dice Wagner, che fa parte della Scientists’ coalition for an effective plastic treaty, un gruppo di scienziati creato per offrire consulenza ai negoziatori del trattato.
I vari tentativi di regolamentare gli agenti chimici usano un metodo basato sul rischio e li valutano prendendo in considerazione sia i pericoli che pongono sia la probabilità di essere esposti a essi. Gli autori del rapporto, invece, ricorrono a un sistema più prudente che tiene conto solo dei pericoli, anche perché le plastiche sono talmente diffuse che valutare i casi di esposizione sarebbe complicato.
Ancora in uso
Wagner è rimasto sorpreso dalla quantità di agenti chimici preoccupanti e dalla loro diffusione. In passato molti ricercatori sostenevano che le sostanze pericolose fossero soprattutto composti obsoleti, non più usati nella produzione delle plastiche. Il gruppo, però, ha trovato prove convincenti che molte sono ancora impiegate dalle aziende. “Abbiamo individuato più di quattrocento sostanze preoccupanti in tutti i principali tipi di polimeri”, spiega Wagner.
Visto il gran numero di queste sostanze e la mancanza di dati su molte di loro, il gruppo le ha divise in 15 categorie su cui intervenire con urgenza che comprendono gli ftalati (spesso impiegati per rendere più flessibile il pvc) e i bisfenoli (che rendono più duraturo il policarbonato).
Il rapporto raccomanda inoltre di chiedere più trasparenza alle aziende sui contenuti delle plastiche. L’associazione delle aziende chimiche statunitensi ha dichiarato che è già in preparazione una banca dati internazionale sugli additivi.
Gli scienziati, dice Wagner, possono contribuire scoprendo quali sono i pericoli posti dalle sostanze chimiche con dati lacunosi e facendo meta-analisi dei composti noti. C’è anche bisogno di tecniche analitiche migliori come i biosaggi, che possono misurare gli effetti di una sostanza sugli esseri viventi, afferma.
Non è chiaro se il trattato sulle plastiche sarà pronto a dicembre. Finora i negoziati sono stati ostacolati da alcuni paesi esportatori di petrolio, che si oppongono a una rigida regolamentazione della produzione della plastica. “Siamo a un punto morto”, sostiene Wagner. “Per me le prove sono chiarissime. I governi devono agire”. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1555 di Internazionale, a pagina 104. Compra questo numero | Abbonati