“Destinazioni oscure”. È in questa sezione del sito dell’agenzia Soviet Tours, con sede a Berlino e nota per proporre viaggi a tappe nelle ex repubbliche sovietiche, che si trova la Siria. Sotto un’immagine orientaleggiante di Palmira, l’agenzia invita ad andare “oltre le paure e gli stereotipi, nella culla della civiltà”. Una formula piuttosto discutibile. Anche se il regime di Bashar al Assad ha riconquistato gran parte del territorio siriano con l’appoggio dei suoi alleati russi e iraniani, i combattimenti tra le varie forze scuotono regolarmente la provincia di Idlib nel nordovest del paese – ultima roccaforte dei ribelli – e il nordest, mentre la repressione degli oppositori da parte del potere continua in tutta la Siria.
Un contesto che Soviet Tours si guarda bene dal segnalare. Tre percorsi di nove giorni ciascuno sono già in programma per il 2022. Aperti a gruppi da quattro a nove persone, prevedono tappe a Damasco, Aleppo, Tartus, Homs, Hama e il Krak dei cavalieri, una fortezza nell’ovest risalente all’epoca delle crociate, che è stata particolarmente danneggiata dai bombardamenti del regime nel luglio 2013, prima di essere riconquistata dall’esercito meno di un anno dopo.
“Non è una buona scusa per abbracciare il regime siriano. Il paese è in guerra”
Foto e realtà
Le autorità siriane hanno chiuso il paese ai turisti all’inizio della rivolta nel 2011 e fino al 2016. Nel 2017 Soviet Tours è stata “il primo operatore non arabo” a collegare di nuovo il paese con gli “ospiti internazionali”, si legge sul suo sito. Tuttavia l’agenzia ha dovuto interrompere le attività in Siria nel marzo 2020, dopo che il governo ha chiuso le frontiere per contrastare la pandemia di covid-19. Ma a settembre Damasco ha annunciato che avrebbe ricominciato a concedere visti turistici, incoraggiando gli influencer e le agenzie di viaggio europee ad andare nel paese devastato da più di dieci anni di guerra.
Tra queste ci sono la Rocky Road Travel, Clio e Untamed Borders, che si trovano rispettivamente in Germania, Francia e Regno Unito e propongono viaggi da Beirut. La vacanza, la cui durata varia da una settimana a dieci giorni, costa tra 1.295 e 3.170 euro a persona. A questo prezzo i turisti possono visitare un paese con “diecimila anni di storia”, che “ha visto l’alba della civiltà e dal quarto millennio aC partecipa alla nascita dei grandi insediamenti urbani”, sottolinea Clio sul suo sito. Le fotografie sono una più attraente dell’altra, a ricordare l’importante patrimonio archeologico e storico della Siria. Ma la realtà è decisamente meno rosea. La maggior parte delle città e delle infrastrutture è stata spazzata via dai bombardamenti del regime; per la ricostruzione servirebbero centinaia di miliardi di dollari, che lo stato non ha.
Almeno 350mila persone sono state uccise da quando è scoppiata la rivoluzione, nel marzo 2011; metà della popolazione è sfollata, tra cui cinque milioni di siriani scappati all’estero. Chi è rimasto deve affrontare una crisi economica che sconvolge tutti gli aspetti della vita quotidiana, soprattutto nelle zone governate dal regime. Qui manca l’elettricità per molte ore al giorno, gas, carburante e pane scarseggiano. L’entrata in vigore nel giugno 2020 negli Stati Uniti della legge Caesar – che sanziona persone o istituzioni che collaborano con il regime di Assad – ha ulteriormente stretto la morsa sulla popolazione. Un rapporto pubblicato a febbraio dal Programma alimentare mondiale riferiva che 12,4 milioni di siriani non sanno come procurarsi il prossimo pasto.
Questa situazione non impedisce alla Rocky Road Travel di dichiarare sul suo sito che “dopo anni di guerra civile, la Siria comincia a tornare a un livello di normalità che non si vedeva da anni”. Queste parole dell’agenzia tedesca, che ha già esaurito i posti disponibili per il viaggio di marzo, ricordano la narrazione di Damasco sulla “stabilizzazione” della Siria: da mesi, infatti, Assad sta facendo passi significativi in vista del suo ritorno diplomatico sulla scena internazionale.
Anche se negano di fare il gioco del regime, queste agenzie europee impediscono a giornalisti e operatori umanitari di partecipare ai viaggi. Secondo un cliente che ha contattato la Rocky Road Travel, “le autorità siriane chiedono una prova dell’attività professionale, come una lettera del datore di lavoro o un biglietto da visita, per assicurarsi che non sia legata a quelle attività”. Una cliente riferisce che la Soviet Tours ha scritto in un’email di non praticare il “turismo di guerra”. Le agenzie non hanno risposto alle nostre richieste d’intervista. Sul sito però la Soviet Tours dedica una pagina alla questione “se sia etico viaggiare in Siria”. “E allora visitare paesi come Turchia, Emirati Arabi Uniti, Egitto o Thailandia? I loro governi sono davvero più indulgenti e meno sanguinari di quello di Assad?”, chiede la compagnia. “Se condanniamo i viaggi in Siria per ragioni morali allora, secondo la stessa logica, non dovremmo viaggiare nel 90 per cento dei paesi del mondo”. Agli occhi di molti osservatori e oppositori del regime questa argomentazione non ha senso. “Non è una buona scusa per abbracciare il regime siriano. Il paese è ancora in guerra, che il governo lo ammetta o meno”, sostiene Mohammad el Abdallah, direttore dell’ong Syria justice and accountability center.
I turisti europei contribuiscono anche a rimpinguare le casse dello stato portando valute estere. Al loro arrivo i viaggiatori sono obbligati a pagare il visto in dollari, a un prezzo che oscilla tra 70 e 160 dollari a seconda del paese di origine. Se lo desiderano possono anche cambiare il denaro in lire siriane alla frontiera a un tasso di 2.500 lire per dollaro, mentre il cambio sul mercato nero è quasi due volte più vantaggioso. È difficile sapere in che misura le spese dei turisti aiutino il regime, considerata l’assenza di dati disponibili. “Tuttavia queste agenzie stipulano spesso accordi con i ristoranti e gli alberghi che appartengono alla cerchia ristretta del governo”, denuncia El Abdallah. Secondo un rapporto pubblicato nel 2020 dal Syrian center for policy research, il pil della Siria è passato da 60 miliardi di dollari nel 2010 a 20 nel 2019. “Godendosi il soggiorno nei luoghi alla moda della capitale mentre il resto del paese muore di fame, i turisti contribuiscono indirettamente ad alimentare una retorica che compromette la sicurezza dei profughi”, continua El Abdallah. Da maggio la Danimarca ha revocato i permessi di soggiorno a centinaia di profughi siriani, valutando che la situazione nella capitale e nei dintorni fosse ormai “sicura”. I governi di Francia, Germania e Regno Unito continuano a sconsigliare ai loro cittadini di andare in Siria a causa delle condizioni di sicurezza e del rischio della repressione esercitata da Damasco, con cui non hanno normalizzato le relazioni.
Riduzione dei rischi
Da parte loro le agenzie insistono sul fatto che tutte le tappe sono “relativamente sicure”. Nell’email alla cliente, la Soviet Tours dichiara: “Tutte le zone che visitiamo sono lontane dai combattimenti”. Sul sito dell’agenzia britannica Untamed Borders, la Siria è l’unica destinazione per cui non è disponibile alcuna informazione, se non contattando il tour operator. Il fondatore dell’azienda, James Willcox, assicura che il viaggio non include regioni vicine alle zone di conflitto: “Valutiamo i rischi e attiviamo procedure per ridurli. Se pensiamo di non poterlo fare a un livello accettabile, non organizziamo il viaggio”. Willcox nega di collaborare con il regime: “Noi lavoriamo con un’impresa partner autorizzata e con guide turistiche siriane. Sono aziende private che non lavorano per il governo”.
Un’informazione difficilmente verificabile, ma alcuni specialisti affermano che non è sempre così. “Di solito le agenzie lavorano con siriani legati al governo. E tutto il viaggio si adatta a quello che le autorità desiderano mostrare”, osserva El Abdallah. “I turisti non vedranno la vera Siria, non attraverseranno mai l’autostrada tra Damasco e Duma per constatare la devastazione dei bombardamenti russi in questa periferia della capitale. Al contrario, saranno confinati nei quartieri ricchi dove acqua, elettricità e internet funzionano sempre, così porteranno questa immagine nei loro paesi”. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1439 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati