“L e democrazie si stanno dimostrando all’altezza del momento”, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden durante il suo discorso sullo stato dell’unione, mentre il presidente russo Vladimir Putin scatenava la sua guerra contro l’Ucraina. Il politologo Francis Fukuyama e altri commentatori affermano che lo “spirito del 1989” è tornato e che nel mondo stiamo per assistere a una “rinascita della libertà”. Una simile retorica, solitamente usata da uomini che hanno vissuto gli ultimi giorni della guerra fredda, è pericolosa. Potrebbe spingere di nuovo l’occidente a interpretare male il mondo.
Le realtà geopolitiche di oggi sono ancora più complicate di quanto lo fossero nel novecento, e confondono ogni possibile distinzione tra democrazia e autocrazia. Rivolgendosi al Venezuela e forse addirittura all’Iran per alleviare la pressione sul prezzo del petrolio, gli Stati Uniti stanno già indebolendo il senso della loro “alleanza delle democrazie”. La Cina, un affidabile partner antisovietico negli anni settanta, sembra aver capito che un legame stretto con l’occidente non è né auspicabile né sostenibile, e fa da megafono alla propaganda russa. Fatto più importante, molti governi sembrano pronti a tenersi fuori da una nuova guerra fredda tra un occidente che si è ricompattato in tutta fretta e la Russia. Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha dichiarato che il suo paese “non prenderà posizione”. Il Sudafrica si è astenuto nel voto sulla risoluzione delle Nazioni Unite che condanna l’invasione russa dell’Ucraina. Argentina, Turchia, Messico e Indonesia appartengono alla maggioranza degli stati che si sono rifiutati di imporre sanzioni a Mosca.
A molti asiatici, latinoamericani e africani non sembra che Putin violi il diritto internazionale più di altri. Anzi, la sua retorica antioccidentale ad alcuni piace
Il paese che meglio rappresenta questa scelta di non schierarsi è l’India. I legami di lunga data con Mosca – metà degli armamenti militari in India arrivano dalla Russia – spiegano solo in parte il rifiuto di New Delhi di schierarsi al fianco di Stati Uniti, Australia e Giappone, suoi alleati all’interno del Quad, l’intesa per contenere l’espansionismo cinese. Come molti governi che devono fare i conti con le insidie dell’inflazione, il primo ministro Narendra Modi è preoccupato dall’aumento dei prezzi delle merci esportate dalla Russia: petrolio, grano e fertilizzanti. E apprezza il sostegno di Mosca allo smantellamento dell’autonomia del Kashmir. Quindi l’India non si schiererà. I sostenitori della guerra fredda, che insistono sul “con noi o contro di noi”, non hanno mai capito i mutevoli rapporti d’interesse che stanno al cuore del non allineamento. Né cercano di comprendere la cautela con cui i paesi più popolosi al mondo misurano la loro cooperazione all’interno di un ordine internazionale dominato dall’occidente. Gli indonesiani ricordano ancora il collasso finanziario del 1998 nel sudest asiatico, la cui responsabilità è attribuita agli investitori occidentali. I nazionalisti cinesi denunciano ancora il bombardamento della Nato sull’ambasciata di Pechino a Belgrado nel 1999. E in Asia e in Africa il ricordo dell’invasione dell’Iraq nel 2003 rimane doloroso.
A molti asiatici, latinoamericani e africani non sembra che Putin violi il diritto internazionale più di altri. Anzi, la sua retorica antioccidentale ad alcuni piace. Lo testimonia la sua popolarità in India e Indonesia. In ogni caso la sfiducia verso le potenze regionali aggressive come Russia, Cina, Turchia e Iran è bilanciata dal sospetto che gli Stati Uniti siano una superpotenza indebolita e instabile. Questi timori sono stati confermati durante la presidenza di Donald Trump e non sono ancora stati dissipati, vista l’influenza del trumpismo nella politica statunitense.
L’egoistica risposta europea e statunitense alla pandemia ha contribuito a rafforzare il risentimento antioccidentale. Di sicuro, mentre gli Stati Uniti congelano le riserve in dollari della banca centrale russa e aziende come la Apple, l’American Express e McDonald’s vanno via dalla Russia, le nazioni di tutto il mondo stanno riconsiderando la loro dipendenza da beni, tecnologie e sistemi finanziari occidentali. La Cina, indignata dall’attacco di Trump contro la Huawei e dalla minaccia di espellere le aziende cinesi da Wall street, è alla ricerca di indipendenza in settori fondamentali come la finanza e la tecnologia, e sta cercando di trovare modi per mettere in discussione il dominio globale del dollaro.
Man mano che la globalizzazione va in pezzi, le prospettive per la democrazia s’indeboliscono. Le dittature del mondo stavano già costruendo fortezze digitali per reprimere il dissenso. La ritirata delle aziende della Silicon valley le aiuterà. Qualunque cosa succeda in Ucraina, il non allineamento e l’indebolimento della democrazia sono destinati a crescere. La guerra fredda è finita nel 1989 con troppe fantasie sul prestigio morale del mondo libero. Una seconda guerra fredda si sta trasformando in uno stallo o addirittura in una sconfitta dell’occidente. ◆ ff
Pankaj Mishra
è uno scrittore e saggista indiano. Collabora con il Guardian e con la New York Review of Books. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Le illusioni dell’Occidente. Alle origini della crisi del mondo moderno (Monadodari 2021). Questo articolo è uscito su Bloomberg.
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Questo articolo è uscito sul numero 1453 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati