Può darsi che la visita del presidente cinese Xi Jinping a Mosca, il 20 marzo, non abbia prodotto grandi accordi sull’energia o passi avanti verso la pace in Ucraina. Ma è comunque una pietra miliare nella ricerca della superiorità diplomatica della Cina in un ordine globale post-statunitense. C’era qualcosa di pomposo nelle parole con cui Xi ha salutato Vladimir Putin, affermando che i due leader sono all’origine di grandi cambiamenti nell’ordine mondiale come “non se ne vedevano da un secolo”, per usare la frase preferita del presidente cinese. Forse Pechino sta dando troppo peso a quella che definisce una “proposta di pace” per l’Ucraina e alla mediazione per ripristinare le relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran. Entrambi i rivali mediorientali potrebbero violare l’accordo già domani. E il presunto piano di pace per l’Ucraina spicca per la sua mancanza di contenuti. Ma sarebbe un errore ignorare gli sforzi della Cina e le sue possibilità di successo, almeno nel breve periodo.
Al suo terzo mandato, Xi spera di giocare un ruolo più grande negli eventi globali, a vantaggio del suo paese. Non possiede né l’esercito né la valuta più potente del mondo. Per questo sta insistendo sul tradizionale punto di forza cinese: le trattative per gli accordi commerciali. A questo oggi si aggiunge la diplomazia. Con una mossa passata inosservata in occidente, a febbraio la Cina ha creato l’Organizzazione internazionale per la mediazione, che ha l’obiettivo di risolvere le controversie internazionali. Tra i firmatari figurano l’Indonesia e l’Algeria, oltre a stati-clienti della Cina come il Pakistan e la Cambogia.
Xi Jinping spera di giocare un ruolo più grande negli eventi globali, a vantaggio del suo paese. E insiste sul tradizionale punto di forza cinese: le trattative
Xi è convinto che gran parte del mondo non occidentale sia sotto la sua influenza. O almeno che molti paesi non condividano la certezza diffusa in occidente, secondo cui la Russia sta commettendo una brutale aggressione contro l’Ucraina, anche grazie al sostegno cinese. La società di consulenza Economist intelligence unit, legata al settimanale The Economist, stima che il sostegno alla posizione occidentale sia diminuito dall’inizio della guerra, e che quasi due terzi della popolazione mondiale (esclusi gli abitanti di Russia e Ucraina) sia oggi neutrale rispetto al conflitto o addirittura favorevole a Mosca.
Secondo Xi gli stati del sud del mondo decisi a mettere fine alla guerra tra Mosca e Kiev, e all’inflazione e alla crisi economica che l’hanno accompagnata, non respingeranno a priori un paese potente che si offre di mediare tra gli avversari. Molti leader africani e latinoamericani credono alla tesi di Putin secondo cui la Nato e gli Stati Uniti hanno provocato la guerra. E non considerano Pechino una mediatrice di parte. Perfino il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, contrario a un cessate il fuoco che rafforzerebbe le conquiste territoriali russe, non ha escluso il coinvolgimento cinese. Xi sarebbe inoltre stato incoraggiato dal consenso raccolto in Medio Oriente per la mediazione di Pechino tra Riyadh e Teheran, che potrebbe contribuire anche a porre fine alla guerra nello Yemen, uno dei conflitti più terribili, anche se trascurati, dei nostri tempi.
La Cina è favorita dall’avere precedenti storici poco ingombranti in molte zone un tempo sotto l’influenza degli Stati Uniti. Ma, soprattutto, trae vantaggio dal fatto che Washington sta ancora cercando di superare una lunga serie di guerre fallite e ipocriti moralismi. Il ventesimo anniversario dell’invasione dell’Iraq ha ricordato a molti chi sono i responsabili di quel conflitto e qual è la sua atroce eredità, dal gruppo Stato islamico a Donald Trump. Inoltre, le amministrazioni statunitensi non hanno imparato dai loro fallimenti in politica estera e non riescono a dare priorità all’impegno diplomatico rispetto alla forza militare. Mentre sostiene l’Ucraina e affronta l’Iran e la Corea del Nord, l’amministrazione Biden ha speso grandi energie per scoraggiare militarmente Pechino.
La proliferazione nucleare non è certo il pericolo principale rappresentato dal patto Aukus tra Regno Unito, Stati Uniti e Australia, il cui scopo è pattugliare l’oceano Pacifico con sottomarini a propulsione nucleare. L’espansione della Nato fino ai confini della Russia ha rischiato di provocare una reazione di Mosca. Inoltre, accerchiare la Cina nella sua regione, facendo rivivere il ricordo delle umiliazioni subite in passato da potenze straniere, rende più probabile una reazione feroce.
Nel frattempo Xi continuerà a proporsi come statista globale sia agli occhi della sua popolazione sia a quelli di gran parte del mondo. Il suo vantaggio è che, a differenza degli Stati Uniti, Pechino ha un ruolo ancora inedito nella diplomazia internazionale, quindi i suoi sforzi suscitano poche aspettative. Che abbia successo o meno, la nuova reputazione della Cina come mediatrice crescerà finché gli Stati Uniti continueranno ad apparire più impegnati a fare la guerra che la pace. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati