Il primo ministro canadese Justin Trudeau non ha ancora reso pubblica nessuna prova a sostegno della clamorosa affermazione secondo cui ci sarebbe l’India dietro l’uccisione di un attivista sikh canadese avvenuta a giugno vicino a Vancouver. Ma la reazione del governo indiano e le feroci accuse della società civile al Canada e ai suoi alleati occidentali evidenziano un fattore oggi molto instabile nella geopolitica: l’India di Narendra Modi.

Appena due settimane fa a New Delhi, il primo ministro indiano aveva accompagnato a piedi nudi i leader occidentali a deporre ghirlande di fiori al memoriale di “Mahatma” Gandhi. Al vertice del G20 Modi aveva presentato l’India come un modello di coesistenza pacifica, armonia e inclusione: “Una terra, una famiglia, un futuro”.

Per molte persone fuori dal paese la risposta dell’India all’uccisione dell’attivista sikh in Canada ha fornito il primo chiaro assaggio di una società civile sempre più incivile

Il premier avrebbe potuto offrire la sua collaborazione al governo canadese. I suoi seguaci sul canale televisivo più fedele al governo avrebbero potuto evitare di minacciare il lancio di bombe nucleari sul Canada. Invece l’immagine dell’India guru del mondo, coltivata con tanta cura, oggi è ridotta in frantumi. E forse è meglio così. Dobbiamo percepire il paese asiatico per quello che è: un luogo in cui il nazionalista indù che uccise Gandhi ha un seguito senza precedenti, la repressione dei dissidenti è diventata routine, e un regime ideologico e buona parte della popolazione desiderano essere temuti e rispettati a livello internazionale per la loro spietata politica di potenza.

Resta da vedere se l’occidente li asseconderà. Nel frattempo vale la pena di ricordare che i paesi occidentali avevano inizialmente accontentato le pretese d’impunità di un altro partner all’epoca corteggiato, la Russia di Vladimir Putin, anche quando le spie russe se ne andavano in giro a uccidere oppositori in patria e all’estero.

Lo stesso Putin salì alla ribalta promettendo nel 1999 di “far fuori” i terroristi ovunque si trovassero. Questo rozzo machismo, che è presente in qualche modo anche in India, risuonava con forza tra i russi, che si sentivano umiliati dalla frammentazione del loro paese un tempo grandioso, dal collasso economico e dalla sottomissione all’occidente.

È vero che, come scrive la ricercatrice Jade McGlynn nel suo libro Russia’s war (La guerra russa), i risentimenti che trainano “la forma di patriottismo particolarmente aggressiva della Russia” e “il suo complesso d’inferiorità verso l’occidente” erano in espansione da prima che Putin salisse al potere. È stato lui, tuttavia, a inventare un glorioso passato imperiale e a fonderlo con il presente decaduto e con un futuro sognato.

In effetti è stato fatto uno sforzo deliberato – anche se poco avvertito – per portare il paese alla sua condizione attuale di delirio violento, in cui molte persone sostengono la criminale aggressione all’Ucraina. Con l’aiuto del cinema e di reti televisive fedeli, Putin ha riabilitato icone appannate del patriottismo come Iosif Stalin, offrendo al tempo stesso una schiera di nemici da odiare, dalla comunità lgbt alla Nato. Soprattutto, proiettando la forza militare dalle terre di confine della Russia fino alla Siria e all’Africa profonda, è riuscito a far sentire i russi dei protagonisti in un dramma a base di vendetta e redenzione nazionale su un palcoscenico globale. Ecco perché, avverte McGlynn, la guerra in Ucraina sembra così irrisolvibile: le sue radici affondano non solo nella mente di Putin, ma anche “nell’immaginario politico e sociale russo di ciò che il paese deve essere”.

Anche in India i nazionalisti indù hanno forgiato una nuova identità nazionale ipermascolina sulla base di vecchi sentimenti di umiliazione, debolezza e insicurezza. Una serie di eventi — la riabilitazione dell’assassino di Gandhi, l’assorbimento di un passato mitico all’interno di visioni fantastiche del presente e del futuro, l’invenzione di nemici (come i separatisti sikh, per lo più innocui), la glorificazione di spie e omicidi nella cultura popolare – hanno contribuito a radicalizzare l’immaginario politico e sociale.

A molti indiani che vivono fuori dal paese la risposta all’uccisione dell’attivista sikh in Canada ha fornito il primo chiaro assaggio di una società civile sempre più incivile. Inoltre, come nella Russia di Putin, non esiste una facile cura per un delirio così vasto causato dalla ricerca di potenza e riconoscimento nazionale.

Si può solo sperare che Modi, dovendo mantenere buone relazioni con l’occidente e conoscendo i limiti militari ed economici dell’India, possa controllare il risentimento e la brama di potere scatenati dal suo partito. Finora è stato bravo a tenere a bada la frustrazione causata dalla perdita di territorio dell’India a favore della Cina. Tuttavia, il livore allontanato non è neutralizzato. Nessuno dovrebbe più dubitare dei pericoli che si nascondono in un nazionalismo indù irascibile e spavaldo. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1532 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati