Ad aprile i manifestanti davanti alla banca centrale norvegese sono stati chiari: il fondo sovrano deve smettere d’investire in Israele. L’azienda, che gestisce 1.700 miliardi di dollari, ospitava una conferenza con alcuni tra i più importanti gestori di patrimoni al mondo. “Smettetela d’investire in aziende che contribuiscono al genocidio e all’occupazione”, ha detto una persona che protestava. La Norvegia ha il fondo sovrano più grande del mondo e, a differenza di altri paesi che ne possiedono uno, è anche una democrazia. Il dibattito su Israele è la dimostrazione lampante delle pressioni a cui può dare vita una situazione simile.

Nei suoi 28 anni di esistenza, il fondo – che possiede in media l’1,5 per cento di qualsiasi azienda quotata in borsa in tutto il mondo – ha in larga misura evitato problemi geopolitici. Ora però teme di restare intrappolato nel conflitto tra Israele e Palestina o perfino di essere vittima delle reazioni negative degli Stati Uniti. “Le pressioni aumentano. Non c’è modo di accontentare tutti”, dice un funzionario.

La maggior parte dei venti più importanti fondi sovrani sono in Medio Oriente o in Cina e spesso operano tenendo conto di fattori politici o geopolitici. La Norvegia, invece, insiste sul fatto che il suo fondo non è uno strumento di politica estera. Tuttavia la velocità con cui Oslo ha congelato i suoi investimenti in Russia nel 2022 – una decisione più che altro presa dal governo – ha dato agli attivisti l’opportunità di spingere il fondo a affrontare anche altre questioni.

Al momento Israele rappresenta lo 0,1 per cento degli investimenti del fondo con 76 aziende, per un valore di 1,5 miliardi di dollari. La Norvegia è uno dei paesi europei più critici verso Tel Aviv ed è anche uno dei tre che il 22 maggio hanno riconosciuto lo stato di Palestina. Nonostante il livello modesto di coinvolgimento nelle imprese israeliane, il fondo è diventato un parafulmine per i manifestanti che chiedono il disinvestimento. In base a un complicato modello di gestione, i vertici del fondo non decidono da soli su questioni simili: un consiglio etico indipendente, che valuta se le aziende rispettano le linee guida, ha analizzato quelle coinvolte nei territori occupati e ne ha escluse nove israeliane.

Grande frustrazione

Dopo gli attacchi terroristici di Hamas e le successive incursioni di Israele a Gaza, il consiglio etico ha abbassato la soglia in base a cui raccomanda l’esclusione di aziende attive in quei territori. Finora però non ci sono state altre raccomandazioni, con grande frustrazione dei dirigenti più esposti alla collera dei manifestanti. Molti temono che il fondo sia costretto a scegliere tra le richieste interne di un’azione più dura contro Israele e le pressioni di alleati come gli Stati Uniti, che chiedono di sostenere Tel Aviv. Se dovesse esserci la sensazione di un’azione eccessivamente aggressiva contro Israele, alcuni ipotizzano addirittura che le attività a New York sarebbero a rischio, a causa delle leggi antiboicottaggio in vigore nello stato.

Il fondo e il consiglio etico non commentano. In un’intervista rilasciata al Financial Times mentre i manifestanti protestavano davanti ai suoi uffici, il presidente del fondo Nicolai Tangen ha detto: “Trovo fantastico che le persone usino la capacità di dare voce alle loro preoccupazioni”. Poi ha aggiunto che bisogna evitare “con molta attenzione” di restare intrappolati nelle reazioni negative degli Stati Uniti contro alcuni investitori sulla base di criteri ambientali, sociali e decisionali. “Bisogna scegliersi le battaglie. Su alcune cose è preferibile fare meno rumore”.

Queste battaglie e i dilemmi che sollevano non faranno che aumentare. Un altro nodo potrebbe riguardare la decisione del parlamento norvegese di bloccare gli investimenti del fondo in aziende coinvolte nella produzione di parti di armi nucleari. Questo vorrebbe dire non possedere quote in gruppi come Boeing, Airbus e Lockheed Martin pur beneficiando dello scudo nucleare della Nato. “L’assetto finanziario si scontra con la geopolitica e la politica nazionale”, afferma un funzionario del fondo. “Non so chi vincerà”.◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati