Il 10 ottobre il primo ministro francese Michel Barnier ha presentato al parlamento il bilancio per il 2025. Le misure del governo sono improntate al contenimento del debito e del deficit dello stato: contengono infatti tagli alle spese e aumenti di tasse per complessivi 60,6 miliardi di euro. L’obiettivo è ridurre il rapporto tra deficit e pil dal 6,1 per cento previsto per la fine del 2024 (il governo precedente parlava del 4,4 per cento) al 5 per cento. Senza un’azione immediata, l’anno prossimo il deficit potrebbe arrivare al 7 per cento. Risparmi per quaranta miliardi di euro dovrebbero arrivare da una serie di tagli ai bilanci dei ministeri (più di venti miliardi) e degli enti locali (cinque miliardi), e da misure che colpiscono il welfare (quindici), come il congelamento dell’adeguamento delle pensioni al costo della vita e un tetto del 2,8 per cento all’aumento della spesa sanitaria. I restanti venti miliardi saranno invece assicurati in gran parte da aumenti temporanei delle imposte ai cittadini più ricchi e alle grandi aziende, oltre che da un innalzamento delle tasse per la transizione energetica, come quelle sui veicoli e le forme di trasporto più inquinanti.
In particolare, è previsto un prelievo una tantum su 440 aziende con un fatturato annuale superiore a un miliardo di euro, una misura che dovrebbe assicurare entrate per otto miliardi nel 2025 e quattro miliardi l’anno successivo. È prevista inoltre una tassa eccezionale sulle compagnie di trasporto marittimo, che dovrebbero contribuire con cinquecento milioni l’anno prossimo e con trecento milioni nel 2026. Il governo vuole anche aumentare le tasse sui biglietti aerei e sull’uso di jet privati. Ci sarà un prelievo eccezionale sul riacquisto di azioni, mentre circa 65mila cittadini con redditi elevati dovrebbero versare due miliardi di tasse nel 2024.
Alla vigilia della presentazione della finanziaria, in un’intervista al quotidiano La Tribune, Barnier aveva dichiarato che in questo momento il dovere principale di chi guida la Francia è “contenere il debito pubblico”, augurandosi uno sforzo “collettivo e condiviso” delle forze politiche, perché “un paese è gestito meglio quando gli viene data la giusta prospettiva e gli viene detta la verità”. E in effetti la realtà dei conti pubblici e dell’economia francese in generale è poco rassicurante, soprattutto tenendo conto di un quadro politico estremamente incerto e instabile. Anni di generosa spesa pubblica, combinati con forti tagli alle tasse, hanno eroso le finanze dello stato.
Come scrive Bloomberg, la seconda economia europea non è più considerata un porto sicuro per chi investe nei titoli di stato. Per la prima volta dal 2007 “gli interessi richiesti dai debitori del governo di Parigi sono più alti di quelli applicati alla Spagna e al Portogallo e sono molto vicini a quelli della Grecia e dell’Italia”. Insomma, la Francia è ormai assimilata a paesi che negli ultimi anni sono stati al centro di gravi crisi del debito. Le previsioni non sono rosee: secondo la Commissione europea, che quest’estate ha già aperto su Parigi una procedura per indebitamento eccessivo, nel 2025 il rapporto tra debito pubblico e pil dovrebbe diminuire in Portogallo e Spagna, ma non in Francia, dove passerà dal 111 al 114 per cento.
Un ulteriore segnale d’allarme è il fatto che all’inizio di ottobre Barnier ha chiesto di rinviare di due anni, dal 2027 al 2029, il termine per riportare il deficit pubblico francese entro il 3 per cento del pil previsto dai parametri dell’Unione europea. Inoltre ha spostato la presentazione del programma strutturale di bilancio (un documento che stabilisce gli obiettivi e le prospettive della finanza pubblica nei prossimi sette anni) al 31 ottobre 2024. La difficoltà maggiore per il governo è di natura politica: riuscire a ottenere quello sforzo collettivo e condiviso chiesto dal primo ministro.
Il governo Barnier non ha la maggioranza in parlamento e potrebbe sopravvivere solo grazie a un atteggiamento benevolo dell’opposizione o di una sua parte. A quanto pare, la sinistra riunita nel Nouveau front populaire (Nfp, nuovo fronte popolare) non ha intenzione di fare aperture di alcun tipo, tanto più che ha rivendicato la guida del paese dopo le elezioni legislative di luglio. In questo contesto è più probabile che Barnier venga aiutato dal Rassemblement national (Rn), il partito populista di destra guidato da Marine Le Pen, disposto a non votare una mozione di sfiducia, ufficialmente per non “far sprofondare il paese nel caos” ma in realtà in cambio di misure gradite nel bilancio di previsione e di un’azione “più dura” sull’immigrazione. Le Pen, inoltre, sarà sempre pronta a far cadere Barnier per tornare al voto e cercare di ottenere quella piena affermazione che le è sfuggita la scorsa estate.
Un tema caldo potrebbero essere le pensioni. Nel 2023 il Rassemblement national ha contestato duramente l’innalzamento dell’età pensionabile a 64 anni voluto dal presidente Emmanuel Macron e ha promesso di riportare il limite a sessant’anni, pur sapendo che la misura potrebbe costare allo stato decine di miliardi in più all’anno. In generale il suo programma politico è infarcito di proposte economiche che fanno presa sulle famiglie con redditi bassi e medi: tagliare le tasse sull’energia elettrica e sul carburante e ridurre l’iva su alcuni beni essenziali, tra cui i generi alimentari.
Un programma, insomma, che mal si concilia con il dovere principale per chi guida la Francia, cioè il contenimento del debito, indicato da Barnier. Anche le misure suggerite dalla sinistra in campagna elettorale (per esempio, il rafforzamento dei sussidi per la casa, del budget di alcuni ministeri, del numero di dipendenti pubblici, oltre all’aumento del salario minimo a 1.600 euro al mese) promettono di essere piuttosto pesanti per il bilancio dello stato francese. Barnier, inoltre, dovrà vedersela con i sindacati, che continuano a chiedere la cancellazione della riforma pensionistica, e con gli amministratori degli enti locali, che hanno già annunciato una dura opposizione ai tagli da cinque miliardi previsti per loro dal bilancio di previsione.
Ora le forze politiche e la parti sociali sono chiamate a dare risposte alla dura realtà francese. Come ha detto il premier in occasione della presentazione del bilancio, “il paese si trova in una situazione senza precedenti e in un momento cruciale. L’economia francese tiene, ma il nostro debito pubblico è colossale. Sarebbe un atto cinico e catastrofico non vederlo, non dirlo e non riconoscerlo”. In caso di stallo Barnier potrebbe ricorrere all’articolo 49.3 della costituzione francese, che permette l’adozione di un testo senza voto dell’assemblea. Ma c’è sempre il rischio che il Rassemblement national cambi idea e voti la sifducia insieme al resto dell’opposizione.
Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.
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