L’accordo sul nucleare iraniano annunciato il 2 aprile da Barack Obama non è stato accolto bene dal Partito repubblicano. Molti esponenti conservatori hanno criticato il presidente per le aperture e le concessioni fatte al governo di Teheran. Uno dei primi a dire la sua è stato Marco Rubio, senatore della Florida e probabile candidato alle elezioni presidenziali del 2016.

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La reazione dei repubblicani era prevedibile. Il 3 marzo, un mese prima della scadenza fissata dai negoziatori per raggiungere un accordo, il congresso a maggioranza repubblicana aveva offerto al premier israeliano Benjamin Netanyahu un palcoscenico per criticare la politica estera della Casa Bianca sull’Iran. Cinque giorni dopo 47 senatori repubblicani hanno scritto una lettera alle autorità iraniane, avvertendole che un eventuale accordo e una revoca delle sanzioni potrebbero essere annullate in futuro.

Quindi è probabile che da qui al 30 giugno, la data entro cui l’accordo sul nucleare dovrà essere siglato, i repubblicani cerchino di mettere i bastoni tra le ruote alla Casa Bianca. Ma cosa possono fare concretamente?

Niente da ratificare. Sicuramente non possono annullare l’accordo con un voto parlamentare. L’intesa annunciata il 2 aprile è solo la cornice di un accordo che dovrà essere siglato entro il 30 giugno. Quindi per ora non c’è ancora niente di formale da contestare. Ma, anche quando ci sarà, i repubblicani non potranno fare molto per bocciarlo. Quello che uscirà dal negoziato tra l’Iran e gli Stati Uniti non sarà un trattato (per cui c’è bisogno della ratifica del senato con una maggioranza di due terzi) ma un executive agreement, un accordo che il presidente statunitense sigla con il capo di stato di un altro paese.

Manovre alternative. Il congresso ha altri strumenti per ostacolare i negoziati. Molti parlamentari, compresi alcuni del Partito democratico, sostengono che un accordo con l’Iran sul nucleare sia una faccenda troppo importante per passare senza che il congresso possa dire la sua. Per questo sono state presentate due proposte di legge in materia. La prima prevede l’approvazione di nuove sanzioni contro l’Iran se Teheran dovesse abbandonare i negoziati o violare l’accordo. La seconda (quella che preoccupa di più la Casa Bianca) impedirebbe al presidente di sospendere le sanzioni contro l’Iran per sessanta giorni, il tempo necessario al congresso per esaminare l’accordo finale.

Barack Obama ha detto che queste leggi potrebbero compromettere l’accordo con l’Iran, quindi ha già fatto sapere di essere disposto a usare il suo potere di veto per bloccarle. Ma i provvedimenti sono sostenuti da parlamentari di entrambi i partiti, quindi non è escluso che possano essere approvati con i voti di 67 senatori, la maggioranza necessaria per blindare una legge da un veto presidenziale. Per questo Obama ha incontrato subito i rappresentati del Partito repubblicano per convincerli a sostenere l’accordo con l’Iran.

In questo contesto sarà fondamentale il ruolo di Bob Corker, senatore repubblicano del Tennessee, capo della commissione del senato per gli affari esteri e promotore del secondo disegno di legge, quello che permetterebbe al congresso di pronunciarsi sull’accordo con l’Iran. In questo momento Corker è una figura chiave nella politica statunitense, perché è uno dei pochi punti di contatto rimasti tra repubblicani e democratici in un congresso sempre più polarizzato. Nelle prossime settimane Obama cercherà di portare il senatore, e quindi il congresso, dalla sua parte.

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