Thelonious Monk. (Arcana edizioni)

Il jazz è strettamente legato all’immagine, sia fotografica sia cinematografica. E se è vero che il primo lungometraggio sonoro ha per titolo proprio Il cantante di jazz (1927), è la fotografia ad aver contribuito maggiormente a definire un immaginario visivo di questa musica, al punto tale da costituire secondo alcuni un settore specializzato: la jazz photography.

È curioso che sia l’immagine fissa, non quella in movimento, ad aver colto e documentato con passione la musica mobile per eccellenza, con poca scrittura e tanta improvvisazione. Ma se si considera l’istantanea come parte di un processo, come fermo-immagine di una definizione di sé, quel momento cristallizzato ci offre l’occasione di osservare con attenzione ciò che altrimenti sfuggirebbe nello scorrere del tempo musicale. Come scrive Giorgio Rimondi, “il problema non è concentrarsi sulla ricerca dell’identità, concetto assolutamente inadeguato, nella sua fissità, a dare conto del nostro essere al mondo, ma semmai lasciare emergere la nostra singolarità, che non è un presupposto ontologico del soggetto ma il suo orizzonte di senso, qualcosa che si costruisce nella durata”: un’ottima chiave di comprensione del processo improvvisativo.

In Nerosubianco (Arcana, 2015) Rimondi racconta il jazz attraverso una selezione di fotografie, fuggendo dai cliché che l’hanno congelato in una coolness tra genio e sregolatezza, con l’occhio di chi cerca quello che sta prima, dopo, dietro e intorno allo scatto. Le immagini riprodotte, con una sola eccezione, non ritraggono i musicisti in concerto. Sono piuttosto momenti che stanno accanto al fare musica, rafforzando così l’idea di una continuità tra l’immaginario sonoro e quello della rappresentazione. Sono uno spunto per narrare storie specifiche che racchiudono aspetti storico-biografici ma anche interpretativi e speculativi. Una foto di Cole Porter in gondola a Venezia racconta delle lunghe serate mondane da lui organizzate nella città lagunare, di una lite furibonda con Djagilev con conseguente intervento della polizia e ci conduce nel segreto della raffinata ambiguità delle sue canzoni.

Una serie di ritratti di Thelonious Monk mentre dorme, un’attività alla quale il pianista si lasciava andare spesso tanto da risultare clinicamente preoccupante, sono il punto di partenza per parlare di lui e della sua musica, così come del rapporto tra sogno e creatività. Il confronto tra diverse foto di Miles Davis scattate nel corso degli anni sono testimonianza della metamorfosi di uno sguardo, della costruzione quasi maniacale della propria immagine che ha accompagnato il trombettista nel tempo, specchio visivo del suo impulso innovativo nella musica, ma anche schermo potente, arma di difesa.

L’immagine fotografica riproduce uno spicchio di realtà che “chiede di essere pensata”, scrive l’autore, e in questo pensiero bisogna tenere conto di tutte le distanze e le proiezioni tra soggetto e oggetto, delle possibili, e spesso insondabili, intenzioni degli attori coinvolti nella rappresentazione visiva. Ma è proprio in questo spazio fatto di cronaca e mito, realtà e immaginazione che Rimondi ricostruisce contesti capaci di offrire non solo nuovi sguardi sul mondo del jazz, ma anche un modo inedito di raccontarlo.

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