“Hey Yacub, you know this is not your house”. È cominciata così la fama di Muna e Mohammed el Kurd sui social network. Nel video pubblicato su Instagram si intravede la giovane Muna rivolgersi in inglese a Yacub, un ebreo originario di Long Island, negli Stati Uniti, che da dieci anni occupa parte della casa della famiglia El Kurd nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est.

“Ehi Yacub, lo sai che questa non è casa tua, che stai rubando casa nostra”.

Lui risponde: “Se non la rubo io, la ruberà qualcun altro”.

C’è il sole, un gatto gioca nel prato. Non ci sono armi né sassi. Ma da questo video è partita una nuova intifada digitale che mira al cambiamento della narrazione sulla rapida e inesorabile colonizzazione illegale dei territori palestinesi.

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L’hashtag #SaveSheikhJarrah, dal nome del quartiere palestinese dove dodici famiglie sono minacciate di espulsione, è diventato virale. E svela il fatto che non si tratta di una semplice lotta tra vicini, ma di un preciso piano di sostituzione etnica a Gerusalemme Est.

I due gemelli della famiglia El Kurd, Muna e Mohammed, hanno 23 anni. La loro sola esistenza smentisce le terribili parole di David Ben Gurion, la prima persona a ricoprire l’incarico di premier israeliano, che dichiarò: “I vecchi moriranno, i giovani dimenticheranno”. Muna e Mohammed el Kurd non hanno dimenticato. Al contrario, contribuiscono a fare riemergere agli occhi del mondo lo spirito di resistenza non violento e incredibilmente resiliente dei palestinesi.

Sotto i riflettori
Fin da bambini hanno cominciato a contestare la narrazione sulla questione palestinese e da quando avevano undici anni i gemelli sono stati sotto i riflettori dei mezzi d’informazione internazionali.

Il documentario Homefront segue Mohammed a undici anni. Si vede un gruppo di coloni israeliani che irrompe con violenza in casa El Kurd il 3 novembre 2008. La casa costruita dal padre di Mohammed e Muna per accogliere la famiglia numerosa non ha ottenuto l’autorizzazione dello stato israeliano. La corte israeliana la mette quindi a disposizione dei coloni venuti dagli Stati Uniti tramite organizzazioni private che li sostengono finanziariamente.

I palestinesi nati a Gerusalemme Est devono richiedere il permesso di soggiorno come se fossero stranieri

Il giovane Mohammed chiede: “Com’è possibile che non abbiamo il diritto di viverci senza permesso, mentre i coloni, che non hanno il permesso, possono?”.

I palestinesi nati a Gerusalemme Est devono richiedere il permesso di soggiorno come se fossero stranieri, i coloni appena arrivati dagli Stati Uniti invece hanno diritto immediato alla residenza. Questa disuguaglianza sancita dalla legge, e formulata in base all’origine etnica e religiosa, è uno degli elementi per cui l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem e l’ong statunitense Human rights watch hanno denunciato Israele per crimine di apartheid.
Nel 2009 Mohammed el Kurd ha incontrato anche le organizzazioni israeliane arrivate in sostegno degli abitanti di Sheikh Jarrah: “Sul momento mi sono chiesto: sono ebrei e vengono a sostenerci? E poi ho capito le differenze tra destra e sinistra”.

Allora ha deciso di diventare un avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani.

Chiudere gli occhi
Il britannico The Guardian ha filmato i due gemelli un anno dopo, hanno dodici anni nel documentario Sharing our house with Israeli settlers in Sheikh Jarrah (Condividere la nostra casa con i coloni israeliani a Sheikh Jarrah). I bambini vengono insultati da gruppi di turisti israeliani arrivati in pullman per vedere “la casa più problematica”, una statunitense gli urla “siete degli assassini”. Vanno al parco giochi dove i coloni gli annunciano “vi butteremo tutti fuori dal vostro quartiere”. I bambini hanno chiaramente paura, ma già mostrano una resilienza particolare per la loro giovane età.

A 23 anni, però, Mohammed non vuole più diventare avvocato. È stanco del vocabolario giuridico che sente dall’infanzia – “insediamenti illegali”, “territori occupati” – usato come mantra da una comunità internazionale che chiude gli occhi e mette a tacere la coscienza subito dopo aver pronunciato quelle parole. Espressioni che indicano una situazione temporanea che dura da 54 anni.

Nel maggio 2021 la porta di Damasco – luogo d’incontro dei palestinesi di Gerusalemme durante il mese sacro del Ramadan – viene chiusa dalle forze israeliane, che effettuano anche un raid alla moschea Al Aqsa causando 186 feriti. Ci sono rivolte in molte città palestinesi e israeliane. Sheikh Jarrah è di nuovo al centro della lotta per una Gerusalemme non solo ebrea. Comincia un’ennesima guerra nella Striscia di Gaza.

Intervistato dalla Cnn, Mohammed el Kurd risponde con imperturbabilità e un vocabolario nuovo che vuole descrivere la sua realtà senza menzogne e senza doversi scusare.

La giornalista della Cnn chiede: “Sostieni le proteste violente che sono scoppiate in solidarietà a te e alle altre famiglie nella vostra situazione?”.

Mohammed risponde: “Sostieni l’espropriazione violenta che coinvolge me e la mia famiglia?”.

Silenzio della giornalista.

Anche questo video della Cnn diventa virale e la casa della famiglia El Kurd a Sheikh Jarrah torna al centro della lotta per cambiare la narrativa.

Un libro per la nonna
Muna viene arrestata. Mohammed anche. Una volta rilasciati continuano a pubblicare e raccontare sui social network la realtà con parole nuove. L’account di Muna ha 1,6 milioni di follower. Ne fa un uso impeccabile, ragionato, informativo. Vuole diventare giornalista e ne ha già tutte le caratteristiche.

Mohammed è andato a studiare negli Stati Uniti, ha appena pubblicato un libro di poesia dedicato a Rifqa, sua nonna morta a 103 anni: “Era più vecchia dello stato di Israele”.

Con un linguaggio asciutto ed efficace, tocca – come hanno fatto in passato i grandi poeti palestinesi, primo tra tutti Mahmoud Darwish – il tema del singolo e quello della lotta per la libertà.

Il libro è uscito in inglese il 12 ottobre ed è già in vetta alle prevendite su Amazon Medio Oriente. Mohammed el Kurd ha descritto la situazione di Sheikh Jarrah anche in un lungo pezzo pubblicato sul sito egiziano Mada Masr, If they steal Sheikh Jarrah (Se rubano Sheikh Jarrah), in diversi reportage per il Guardian, ed è stato recentemente ingaggiato dal giornale statunitense The Nation come corrispondente dalla Palestina. Ha preso il pieno possesso della sua narrazione.

I due gemelli sono stati inseriti dalla rivista Time tra le cento persone più influenti del 2021. Continuano a cambiare le parole e sono seguitissimi sui social network da tutti i palestinesi, dei Territori occupati e della diaspora, uniti dalla necessità di cambiare il modo di essere presentati. Sono stanchi di dover rispondere a domande offensive e ignoranti come: “Odi gli ebrei? Sostieni i terroristi?”.

Parte di una generazione poco politicizzata in termini tradizionali, sono attenti alla narrazione e all’identità e continuano la loro lotta sui social network, intorno all’hashtag di #SaveSheikhjarrah. La loro mobilitazione ha molto in comune con il movimento Black lives matter negli Stati Uniti: si basa sulla produzione di un nuovo racconto che parte da chi è oppresso, senza scusarsi di essere la vittima.

Al festival di Internazionale a Ferrara, il 3 ottobre Mohammed el Kurd ha sedotto il pubblico del teatro Comunale con le sue parole, quelle della sua musica, delle sue poesie e del suo sguardo politico.

Serio e intransigente nella lotta, quando ride offre un sorriso solare e dolce. Vorrebbe fare il designer di mobili. Ricorda che non si dovrebbe essere così seri a 23 anni, ma vivere una vita molto più spensierata della sua. Magari come quella dei suoi coetanei a pochi chilometri da Sheikh Jarrah.

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