La morte del contrabbassista svedese Georg Riedel, il 25 febbraio, mi ha fatto riflettere su una cosa: nessuno dei due musicisti che hanno realizzato l’album jazz più amato e venduto in Scandinavia è ancora in vita. Riedel è stato giustamente ricordato come l’autore della colonna sonora del film Pippi Calzelunghe (1969) ma era stato anche l’inconfondibile contrabbasso in Jazz på svenska (“Jazz in svedese”) del pianista e arrangiatore Jan Johansson (1931-1968), con lui coautore delle musiche del celebre film per bambini. Jazz på svenska è un disco affascinante e universale che merita di essere conosciuto da tutti, anche da chi ha poca dimestichezza con il jazz scandinavo o con il jazz strumentale in generale.
Quando Johansson ha cominciato a realizzare Jazz på svenska, la sua personalissima rilettura di 12 canzoni popolari scandinave, era il 1962 e il mondo voleva ascoltare più il rock’n’roll che il vecchio jazz. Gli anni sessanta sono stati un decennio creativamente fertile per il jazz svedese ma difficile dal punto di vista discografico: le etichette preferivano spostarsi tutte sul pop e sul rock. Anche i locali di Stoccolma, dove il jazz si era evoluto e aveva prosperato, cominciavano a dare sempre più spazio ad altri generi di musica. Il Nalen, un’ampia ed elegante sala da ballo di fine ottocento, tutt’oggi molto frequentata a Stoccolma, cominciava a programmare sempre meno jazz che, come accadeva nel resto del mondo, si allontanava sempre di più dai locali da ballo per rifugiarsi in club più raccolti e sotterranei. Oggi, segno dei tempi, il Nalen è quasi più noto come ristorante che come sala da concerto.
L’unico locale jazz di rilievo a Stoccolma era il Gyllene Cirkeln, che aprì proprio nel 1962 con una residenza di tre settimane del pianista statunitense Bud Powell. Nel 1967 i Pink Floyd fecero lì il loro primo concerto in Svezia e già nel 1969 il locale cominciò a cambiare funzione. Anche il Gyllene Cirkeln oggi è per lo più un ristorante. La “ristorantificazione” degli spazi pubblici dedicati alla musica dal vivo, che vediamo in tutte le città del mondo (pensiamo al Teatro Smeraldo di Milano da tempo trasformato in una cattedrale di Eataly), ha radici antiche. Va detto che negli storici locali jazz statunitensi degli anni trenta, quaranta e cinquanta si mangiava, si beveva (quando non era proibito) e si ballava, e le locandine, oltre a strillare a caratteri cubitali i nomi di star come Louis Armstrong, Duke Ellington o Billie Holiday, esaltavano anche le squisitezze della cucina e le attrattive del bar. In alcune storiche registrazioni dal vivo degli anni cinquanta si sentono il tintinnare dei bicchieri, le chiacchiere e le risate di un pubblico spensierato ed elegante.
Un idioma jazz scandinavo
Jan Johansson lavorava in un periodo in cui il jazz svedese lottava per la sua sopravvivenza. Stoccolma rimaneva una città viva: dagli Stati Uniti arrivavano molti grandi nomi del jazz e a volte addirittura si fermavano a vivere lì; uno fra tutti il trombettista Don Cherry (1936-1995), che in Svezia si è sposato e ha lasciato una discendenza di artisti pop, dai figli Neneh e Eagle-Eye Cherry alla nipote Mabel.
La particolarità della musica di Johansson però era quella di creare un idioma jazz scandinavo che non fosse di sola derivazione americana. E Jazz på svenska è un disco svedese fin dalla copertina disegnata da Tor Alm in cui vediamo una borsa ricamata con una vecchia locomotiva a vapore e la scritta lycklig resa, che significa “buon viaggio”. Con un lettering essenziale ma di grande effetto leggiamo il titolo dell’album, e sotto il nome del pianista e la scritta svenska folklåtar, “musica popolare svedese”. Già solo la copertina è un piccolo capolavoro di grafica scandinava.
Jan Johansson esegue “Emigrantvisa”, la canzone dell’emigrante, alla tv di stato svedese con un quartetto (1961)
Jazz på svenska è un viaggio attraverso melodie popolari scandinave riarrangiate in modo asciutto e moderno e suonate con rispetto ma anche molto divertimento dal pianoforte pieno di colori tenui e sfumati di Jan Johansson e dal contrabbasso di Georg Riedel. È un disco malinconico ma accogliente, ha quella qualità di romantica, meditabonda spossatezza della grande musica scandinava. Un modo crepuscolare di sentire e di guardare il mondo che troviamo sia nella grande tradizione classica sia nella lunga ondata pop che la Svezia ha cavalcato e continua a cavalcare dai primi anni settanta a oggi. Soprattutto è un disco accessibile che nasconde grande raffinatezza e consapevolezza musicale. Ed è un commovente e simbiotico dialogo tra due ottimi musicisti.
Visa från Utanmyra, canzone dal villaggio di Utanmyra, è il pezzo che apre l’album. Nelle sue note sullo spartito Johansson segna un verso del testo della canzone: “Il dolore più profondo della terra è perdere qualcuno che ti è caro. Il dispiacere più pesante che oscura anche il sole è amare qualcuno che non potrai mai avere”. La canzone tradizionale ha testi diversi e ne esistono varie versioni cantate: una delle più belle è quella della cantante svedese Monica Zetterlund, uscita un anno prima di Jazz på svenska (cercate il suo album Ohh! Monica!, un altro disco decisamente da salvare).
Tra il 1958 e il 1960 Jan Johansson aveva vissuto a Copenaghen e aveva suonato con il sassofonista statunitense Stan Getz (1927-1991), famoso per il suo suono morbido e lirico. Il pianista svedese sembra volar ricreare quella morbidezza e quella contabilità con la sua testiera.
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In Gånglek från Älvdalen sentiamo per la prima volta il passaggio da tonalità maggiore a minore che secondo Johansson è la caratteristica di tutta la musica folk svedese. In questo pezzo in particolare il pianista cerca di combinare le influenze folk scandinave con quelle americane. Polska från Medelpad è una danza tipica delle Svezia però, avverte Johansson nelle sue note, “non è una danza da ballare ma da ascoltare”, per poi aggiungere, sibillino, una nota decisamente impressionista: “Nelle canzoni del nord si sentono le foreste di conifere”.
Le canzoni si susseguono, malinconiche o più allegre ma sempre con qualcosa di meditativo e di sognante ricordando figure mitologiche (Berg-Kirstis polska, una danza dedicata a una troll delle montagne) e gli emigranti svedesi che si vendevano tutto per andare in America (Emigrantvisa). Vallåt från Jämtland invece è una canzone contadina ispirata al Kulning, uno stile di canto ipnotico e ripetitivo con cui i pastori richiamavano gli animali nelle stalle. Leksands skänklåt è una canzone che veniva suonata durante i matrimoni, quando la sposa versava da bere per tutti gli invitati. Nella sua autobiografia il compositore Hugo Alfvén (1872-1960) ricorda che per trascrivere queste canzoni rintracciava vecchi musicisti nelle campagne e li faceva bere tanto, mentre lui non toccava una goccia. Più bevevano e più le canzoni diventavano tristi e in tonalità minore. Secondo Alfvén questo era un tratto tipico della mentalità svedese in generale.
Ascoltare Jazz på svenska è un doppio viaggio, da una parte nella Svezia ancestrale delle grandi foreste del nord, tra spiriti e antiche leggende, dall’altra nella Svezia socialdemocratica, moderna e un po’ grigia dei primi anni sessanta. La sensibilità di arrangiatore e di pianista di Jan Johansson è capace di riflettere insieme tutti questi aspetti del suo paese. Il successo di Jazz på svenska fu tale che Johansson realizzò altri album di musiche popolari: Jazz på ryska (Jazz in russo) e Jazz på ungerska (Jazz in ungherese).
Quando Jan Johansson morì, nel 1968 in un incidente d’auto, stava andando a suonare ed era in un momento molto produttivo della sua carriera. I suoi figli Anders e Jens, rispettivamente batterista e tastierista, hanno suonato in importanti band metal svedesi.
Jan Johansson
Jazz på svenska
Megafon, 1964
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