Nel 1992, a Rio de Janeiro, i grandi del mondo hanno firmato la Convenzione sulla biodiversità, con cui hanno convenuto che la nostra presenza sul pianeta sta “erodendo” la diversità dei viventi (la biodiversità, appunto) e hanno preso atto che, senza la biodiversità, la nostra sopravvivenza non è possibile. Questo ha impegnato i governi dei paesi firmatari a salvaguardare la biodiversità e a mettere in atto misure che ne fermino l’erosione.
Se dovessimo fare un discorso economico, potremmo dire che la biodiversità è il nostro capitale naturale, ed è ovvio che se si ha a disposizione un capitale lo si deve gestire in modo oculato, in modo che frutti e non si dilapidi. Noi lo stiamo dilapidando. Che facciamo se abbiamo un patrimonio? Bè, la prima cosa è l’inventario. Come si fa a gestire qualcosa se non la si conosce?
Se arrivasse un marziano sulla Terra e visitasse il pianeta, avendo la possibilità di comunicare con noi (la specie più intelligente che ci sia, giusto?) probabilmente ci chiederebbe: ragazzi, che vita che c’è, qui da voi! So che state cercando la vita su altri pianeti da un sacco di tempo, con un grande investimento di risorse. A noi marziani interessa la vita sul vostro, di pianeta. Quante specie avete? E come fanno a formare sistemi ecologici così rigogliosi? È una domanda ovvia, no? Chi potrebbe rispondere a una domanda del genere?
Per gli animali dovrebbe rispondere uno zoologo, per le piante una botanica, per i funghi un micologo, per gli unicellulari una protistologa e per batteri e virus una microbiologa. E sapete quale sarebbe la risposta: guardi, signor marziano, finora abbiamo descritto due milioni di specie, ma le nostre stime sono che ce ne siano almeno otto. Senza però contare i batteri e i virus, dove ancora non sappiamo neppure bene il significato della parola “specie”. Quanto ad aver capito come funzionino una volta messe tutte assieme, e facciano funzionare gli ecosistemi del pianeta… bè qui siamo un pochino indietro. D’altronde, se non le conosciamo tutte (ce ne mancano circa sei milioni), come facciamo a capire come facciano funzionare gli ecosistemi?
Il marziano ci potrebbe dire: ma i nostri primi studi sul vostro pianeta ci mostrano in modo inequivocabile che state distruggendo tutto, tra poco non riuscirete più a viverci. Non vi preoccupa questo? Ma sì che ci preoccupa, abbiamo anche firmato convenzioni al riguardo. Le ho viste, dice il marziano, roba da avvocati. Ma di fatto, quanto state investendo per affrontare il problema? Ci sarà una comunità scientifica agguerritissima e sostenutissima, presumo. Bè, a dir la verità no, signor marziano, c’erano i tassonomi (quelli che danno il nome agli organismi, descrivendo le specie) ma la loro disciplina non è più di moda e piano piano stanno scomparendo. Come “non è più di moda”, ma se questo è il primo problema che avete, come mai state rinunciando a risolverlo? Se non capite come sono fatti e come funzionano gli ecosistemi, come potete pensare di gestire al meglio il vostro pianeta?
Ah, già, ma ci sono altre cose importanti, stiamo rivelando i segreti della struttura della materia, e abbiamo trovato nuove galassie, da questo abbiamo messo a punto le telecomunicazioni, stiamo facendo progressi scientifici e tecnologici che vi dovrebbero sorprendere. Non lo metto in dubbio, direbbe il marziano, ma senza tutte queste conoscenze morireste? No, non moriremmo. Ma guardate che se andate avanti così, erodendo la biodiversità, le vostre prospettive di sopravvivenza si riducono sempre di più, come fate a non capirlo? Ma noi lo abbiamo capito, che crede? Abbiamo anche firmato la Convenzione di Rio. Sì, ma poi non avete dato seguito alle sue direttive, non con l’efficacia che il problema richiede. Avete dichiarato una cosa ma state facendo il contrario.
Bene, i marziani non ci sono (anche se spendiamo risorse immani per cercarli), ma queste domande ce le dovremmo porre anche noi, la specie “intelligente”. La ricerca sulla diversità delle specie è stata interrotta perché, non ridete, le riviste su cui si pubblicano questi studi non hanno un alto fattore di impatto. Non credo che il marziano riuscirebbe a capire questo argomento. Ho partecipato alla valutazione del sistema della ricerca nel nostro paese, e vi posso assicurare che il fattore di impatto della rivista su cui gli studi vengono pubblicati, e il numero di citazioni, sono stati il criterio numero uno per valutare la ricerca. C’è anche l’indice h, non dimentichiamolo, che misura l’impatto complessivo della produzione scientifica di ogni ricercatore.
La ricerca tassonomica ha ricevuto punteggi bassissimi, non perché descrivere le specie non sia importante (la Convenzione di Rio dice che lo sia) ma perché le riviste su cui si pubblicano questi rendiconti scientifici hanno bassi fattori di impatto, o non ne hanno affatto. Il vero problema è che chi fa questi studi dà talmente per scontato che siano importanti (sostenuto dalle varie convenzioni tipo quella di Rio) da ritenere quasi pleonastico il doverlo spiegare. Purtroppo non lo è, e i tassonomi faticano a far capire cose talmente ovvie.
Ho sentito con le mie orecchie lord Robert May, il consigliere della corona britannica nelle questioni scientifiche, dire che spendiamo più risorse per il telescopio di Hubble che per studiare la biodiversità a livello globale. Lord Robert May (che è un fisico) ha detto anche che quello che si può imparare dal telescopio di Hubble lo potremmo imparare anche tra cento anni, e la nostra situazione non cambierebbe di molto, mentre la biodiversità la stiamo distruggendo ora. Lo slogan potrebbe essere: se non ora, quando?
Se ci fossero i marziani, penso che avremmo qualcosa da imparare dalle loro ipotetiche domande. Il primo paese al mondo ad aver compilato la lista completa degli animali (conosciuti) che lo abitano è proprio l’Italia. Un primato di cui non si vanta mai nessuno (dite la verità: lo sapevate?). Ma questo significa solo che siamo trent’anni indietro rispetto agli altri paesi: da noi c’è ancora qualche tassonomo, negli altri paesi sono scomparsi. Ma state tranquilli, ci stiamo mettendo rapidamente al passo. Tra poco non ce ne saranno più neppure da noi.
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