Roger Fisher era un esperto di negoziati e soluzione dei conflitti che insegnava ad Harvard. Nel 1981, in piena guerra fredda tra sovietici e statunitensi, lanciò un’idea sul Bulletin of the atomic scientists.
“Una delle prime proposte sul controllo degli armamenti affrontava il problema del distacco emotivo del presidente nel momento di prendere la decisione su una guerra nucleare. C’è un giovane uomo, probabilmente un ufficiale della marina, che accompagna il presidente. Questo giovane ha una valigetta nera che contiene i codici necessari a lanciare le testate nucleari. Immagino il presidente che durante una riunione con i collaboratori prende in considerazione una guerra nucleare trattandola come se fosse una questione astratta. Potrebbe concludere la riunione così: ‘Piano di attacco operativo uno, la decisione è affermativa. Informate il settore Alfa sulla linea Xyz’. Questo gergo militare serve a mantenere la distanza da quello che si sta per fare. La mia proposta era semplice: mettere i codici nucleari in una piccola capsula e impiantare la capsula accanto al cuore di un volontario. Quando accompagna il presidente, il volontario ha con sé un grande coltello da macellaio. Se mai il presidente decidesse di lanciare le testate nucleari, per farlo dovrebbe prima uccidere, con le sue mani, un essere umano. Il presidente direbbe: ‘George, mi dispiace, ma decine di milioni di persone devono morire’. Dovrebbe guardare una persona e realizzare cos’è la morte, cos’è la morte di un innocente. Sangue sul tappeto della Casa Bianca. La realtà che fa irruzione nella vita di tutti i giorni. Quando parlai di questa idea a degli amici al Pentagono, mi dissero: ‘Mio dio, è terribile. Dover uccidere qualcuno rischierebbe di distorcere il giudizio del presidente. Potrebbe non voler mai spingere il pulsante’”.
Questa rubrica è stata pubblicata il 17 agosto 2017 a pagina 7 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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