Amitav Ghosh, [Diluvio di fuoco](Diluvio di fuoco)
Neri Pozza, 704 pagine, 18,50 euro
È l’ultimo libro di una grande trilogia romanzesca sulle guerre dell’oppio nell’India dell’ottocento, dominata dal colonialismo inglese. È un romanzo-mondo con il narratore onnisciente e una distanziata oggettività del racconto, con un intreccio che lega decine di personaggi che si muovono in decine di ambienti, con un superbo controllo e con un enorme lavoro di ricerca alle spalle. Il fine, pienamente raggiunto, è quello di coinvolgere il lettore affascinandolo e ammaestrandolo. Storia e romanzo: una ricetta diffusa e banale, ma quanti sanno trarne una pietanza così nutriente?
Ritroviamo personaggi già noti, il decaduto Neel e il figlio, l’ardimentoso Rajiu, l’americano Reid e il lascaro Jodu e cento altri in una storia che si fa epocale. Nel cuore del racconto c’è la Ibis, vera protagonista del romanzo, una nave coinvolta su più fronti in conflitti che sono anzitutto economici ma con radici politiche, militari, religiose e sociali. Ricchi e poveri, asiatici e inglesi, i personaggi sono portatori di visioni, passioni e valori scatenati dalla fredda avidità dell’imperialismo occidentale. L’azione è rotta da lettere, diari, relazioni, bibliografie come “in una casa dove i servitori sono assai più numerosi dei padroni”, tra Melville e Forster, Salgari e Via col vento. Lussureggiante la traduzione.
Questa rubrica è stata pubblicata il 20 novembre 2015 a pagina 86 di Internazionale, con il titolo “Il futuro della carne”. Compra questo numero| Abbonati
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