Le elezioni che si terranno il 19 dicembre a Hong Kong saranno le prime del consiglio legislativo (il parlamento locale) da quando è stata varata la legge sulla sicurezza nazionale che ha cambiato tutto.
Dovevano tenersi l’anno scorso, ma sono state posticipate a causa della pandemia. La sosta ha dato anche il tempo di fare piazza pulita: la maggior parte dei partiti d’opposizione si è dovuta sciogliere, tanti dei loro sostenitori sono in prigione, compresi i politici più carismatici arrestati con l’accusa di tentata sovversione per aver partecipato, nel 2020, alle primarie con cui si dava ai cittadini la possibilità di scegliere l’ordine di preferenza dei candidati, e puntare dunque a un massimo di candidati vincenti. L’esistenza di una strategia messa a punto per vincere le elezioni è stata definita dal governo come un atto sovversivo, dal momento che cercare di vincere le elezioni, se si fa parte dell’opposizione, è paragonabile a un piano per rovesciare il governo.
Le ultime elezioni a Hong Kong si erano svolte nel novembre del 2019, prima della pandemia, mentre ancora si manifestava per le strade. Erano elezioni distrettuali, e, con circa il 75 per cento di affluenza alle urne, 17 dei 18 distretti erano andati a candidati favorevoli alla democrazia che avevano dichiarato di sostenere i manifestanti e le loro richieste. Solo il distretto rurale dove abito io è rimasto in mani filogovernative.
Eliminati i candidati non patriottici, alle elezioni del 19 dicembre si presenta uno sparuto gruppo di persone che appoggiano il governo
Ma quasi tutti i candidati eletti nel 2019 a suffragio universale sono stati “squalificati” (Dq, la sigla indica chi è stato estromesso dalle autorità per motivi politici). Gli eletti hanno dovuto prestare un giuramento un po’ bislacco, dal momento che erano le autorità stesse a decidere se la solenne dichiarazione di voler rispettare la costituzione di Hong Kong e di essere patriottici fosse pronunciata in modo sincero e credibile oppure no. Di conseguenza, nei distretti ora non ci sono più molti consiglieri, dato che quelli squalificati non sono stati sostituiti.
E ora alle elezioni si presenta un numero sparuto di candidati: girando per la città ne ho visti cinque o sei, anche se so che ce ne sono di più. Ma sono tutti e solo candidati che si propongono con la stessa piattaforma: sostenere il governo. Certo ci sono volti nuovi, giovani provenienti dai principali partiti filogovernativi a cui è stato chiesto di candidarsi. Per la strada si vedono manifesti elettorali, in tv ci sono dibattiti, ma tra persone che vogliono tutte la stessa cosa (sostenere il governo) e che cercano di presentarsi come coloro che, malgrado tutto (anche se non si esprimono così), si batteranno per i diritti della gente comune. Anche se non hanno idea di quali siano le reali esigenze.
Edward Leung, uno dei candidati del maggior partito filogovernativo, il Dab (il nome intero è Democratic alliance for the betterment and progress of Hong Kong, quindi tutti dicono Dab per fare prima), parlando delle esigenze di trasporto di Hong Kong che non possono più essere accantonate ha dichiarato di essersi “da sempre” battuto affinché il quartiere di Sai Wan Ho avesse una stazione della metropolitana. Questa esiste dal 1985, ma Leung doveva essere troppo impegnato a battersi per ottenerla per rendersene conto. Una simile gaffe magari in un altro contesto gli sarebbe costata di più, ma nel clima attuale (i sostenitori del governo si candidano senza oppositori) battersi per una stazione della metropolitana che già esiste da quasi quarant’anni sembra quasi appropriato.
Schede bianche e astensioni illegali
Il governo però ci tiene molto a far vedere che le elezioni sono legittime come quelle del 2019, e mentre i sondaggi prelettorali mostrano che in pochi hanno voglia di andare a votare per eleggere la metà di un parlamento con candidati tutti dello stesso orientamento politico (l’altra metà è eletta dai voti dei settori economici, per cui c’è ancor meno competizione) è stato dichiarato illegale esortare a votare scheda bianca o astenersi.
Il governo dunque ha scritto lettere ai giornali stranieri che hanno pubblicato editoriali in cui dicono che le elezioni che si avvicinano non hanno senso – specificando che incitare a non votare è un crimine anche fuori Hong Kong, e che sarebbero state prese le misure necessarie (senza specificare quali).
Il silenzio che accompagna queste elezioni è totale
Per la strada si vedono manifesti azzurri e arancioni che dicono di andare a votare per fare il nostro dovere per Hong Kong, “casa nostra”. Ma in un’intervista televisiva, Carrie Lam, chief executive di Hong Kong, ha detto di non essere affatto preoccupata dai sondaggi che danno per scarsissima l’affluenza alle urne, dato che “in molte democrazie l’affluenza alle urne non è un segnale facilmente interpretabile, molti non votano quando sono soddisfatti del governo”.
Malgrado questo volersi preparare a giustificare un’affluenza bassa, sono stati trovati molti votanti in più: per la prima volta infatti potranno votare alla frontiera circa centodiecimila hongkonghesi che vivono nella Cina continentale. Ma i giornalisti e gli osservatori non saranno autorizzati a testimoniare questo momento così speciale. Non mi sembra che sia stata data una ragione per questo, forse una qualche misura pandemica?
Il silenzio che accompagna queste elezioni è totale. Per le strade qualcuno distribuisce volantini, ma tra l’esclusione e l’incarcerazione dei candidati che sostengono la democrazia, e considerando anche i divieti imposti dalle misure sanitarie, non si sentono nemmeno slogan. Tanto, la maggior parte degli slogan potrebbe essere dichiarata illegale, per cui nessuno ha voglia di rischiare.
Anche Twitter è semisilenzioso al riguardo, il che sorprende, ma siccome tutti hanno paura di finire nei guai anche solo per una battuta, a pochi giorni dalle elezioni è come se gli utenti del social network ignorassero del tutto l’appuntamento. L’altro giorno sono passata dall’università di Hong Kong, che è stata finalmente riaperta al pubblico, e sono passata davanti al “muro della democrazia” – una grande bacheca dove gli studenti appendevano di tutto: slogan politici, appelli e consigli di voto nei periodi elettorali, testi satirici, fotografie, adesivi eccetera. La bacheca era gestita dall’Unione degli studenti, ma anche quella è stata dissolta in base alla legge sulla sicurezza nazionale quando i rappresentanti degli studenti hanno espresso cordoglio per un uomo che si è suicidato subito dopo aver aggredito un poliziotto con un coltello. L’uomo è stato classificato come “terrorista interno, lupo solitario”, e il fatto che l’unione studentesca presentasse le condoglianze alla famiglia era stato reputato inaccettabile.
Ora, dunque, la bacheca è vuota, con appena le ombre della colla dei vecchi adesivi. Nessuno slogan, nessuna campagna elettorale nel campus. Nulla. Il silenzio di una Hong Kong che è stata profondamente cambiata da quando, in piena pandemia, è stata imposta una legge che rende tutto una questione di “sicurezza nazionale” e da quando il sistema elettorale è stato “migliorato” (secondo la formula ufficiale) per far sì che siano “solo i patrioti a governare Hong Kong”.
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