La vicenda riguarda una famiglia reale e si svolge in una delle zone più delicate del mondo. Il regno di Giordania confina con Israele, i Territori palestinesi, la Siria, l’Iraq e l’Arabia Saudita, dunque tutto ciò che accade all’interno del paese influisce sulla stabilità di una terra che sembra non trovare mai pace.
Nel fine settimana il principe Hamzah, fratellastro del re Abdallah ed ex principe ereditario, è stato messo agli arresti domiciliari, mentre circa quindici personalità di spicco del paese sono state arrestate. Il ministro degli esteri giordano ha parlato di un complotto per “destabilizzare il regno”, a cui avrebbe partecipato una potenza straniera offrendo un aereo per far uscire dal regno alcune persone vicine al principe.
Hamzah ha reso nota la sua situazione attraverso un video inviato alla Bbc poco prima che gli fosse impedito di comunicare. Il principe ha annunciato di aver ricevuto la visita del capo dell’esercito, che lo avrebbe accusato di aver partecipato ad alcune riunioni con le tribù beduine in cui il re sarebbe stato criticato. Nel filmato, in arabo e inglese, l’ex ufficiale formatosi presso l’accademia britannica di Sandhurst nega qualsiasi complotto e si lancia in un’arringa contro la corruzione e l’incompetenza del governo giordano, sottolineando la perdita di fiducia nel regime da parte dei cittadini.
Una potenza straniera
Si tratta realmente di un complotto? O sono semplici critiche? Difficile dirlo, anche perché non c’è stato un passaggio all’azione con un tentativo di rovesciare il re Abdallah, al potere dalla morte del padre, il re Hussein, nel 1999. Ma in generale nelle famiglie reali con un potere fragile c’è la tendenza a considerare i dissidi interni come complotti da stroncare.
Ciò che intriga a proposito dell’intera vicenda è il riferimento del ministro a una potenza straniera, perché c’è una grande differenza tra una rivolta di palazzo e una destabilizzazione regionale. Una delle persone arrestate, l’ex alto funzionario Bassem Awadallah, è famoso per la sua vicinanza con il principe ereditario saudita Mohamed Ben Salman e con gli Emirati Arabi Uniti, ovvero le due potenze arabe del Golfo.
Tutti i paesi della regione hanno espresso il proprio appoggio al re Abdallah, compreso Israele.
La sera del 4 aprile il re saudita Salman ha chiamato il sovrano giordano per manifestargli il proprio sostegno e la propria speranza in un ritorno alla stabilità del regno. È un fatto particolarmente rilevante, considerando che le due famiglie, i Saud e gli Hashemiti, sono storicamente rivali e si contendono il controllo dei luoghi santi di La Mecca e Medina. Tra Giordania e Arabia Saudita c’è da tempo una forte sfiducia.
Tutti i paesi della regione hanno espresso il proprio appoggio al re Abdallah, compreso Israele, con cui la Giordania ha firmato un trattato di pace nel 1994 sulla scia degli accordi israelo-palestinesi di Oslo.
Ma quella pace non è del tutto stabile, e i rapporti tra il re e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sono piuttosto tesi. Di recente Netanyahu ha impedito ad Adballah di pregare sulla spianata della moschee a Gerusalemme, nonostante la Giordania conservi la supervisione del luogo, un lascito dell’epoca in cui la parte orientale della città apparteneva alla Giordania, fino al 1967.
In ogni caso il 4 aprile il ministro della difesa israeliano Benny Gantz ha sottolineato che gli eventi di Amman sono una questione interna della Giordania e che Israele ha tutto l’interesse a conservare l’alleanza con il regno.
L’unica certezza è che, dietro l’apparente stabilità, la Giordania è un paese indebolito dall’afflusso di profughi siriani, dalle conseguenze della pandemia e da un’economia in crisi. Il nervosismo del re ne è il segno principale, soprattutto perché la minaccia sembra provenire dalla sua stessa famiglia. La vicenda, inevitabilmente, lascerà tracce profonde.
Traduzione di Andrea Sparacino
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