Il 23 ottobre, alla vigilia della partenza del presidente francese Emmanuel Macron per il Medio Oriente, i suoi collaboratori avevano fatto sapere che una volta arrivato in Israele avrebbe chiesto una “pausa umanitaria” dei combattimenti nella Striscia di Gaza. Questa pausa, si sperava, avrebbe potuto consentire la liberazione degli ostaggi catturati da Hamas e aprire la strada a un vero cessate il fuoco.

Ma in tutti i discorsi pronunciati durante il suo viaggio Macron non ha mai fatto cenno a questa tregua, pur invocando il rispetto del diritto internazionale umanitario e chiedendo di risparmiare i civili. La situazione ha raggiunto il paradosso quando la prima ministra francese Élisabeth Borne ha rivolto la stessa richiesta all’assemblea nazionale di Parigi, come se qualcuno avesse dimenticato di avvertirla che c’era stato un cambio di programma.

Perché la pausa umanitaria è scomparsa dall’agenda pubblica? L’argomento è ormai diventato un motivo di disaccordo internazionale e divide i ventisette paesi dell’Unione europea, riuniti dal 26 ottobre a Bruxelles per discuterne. Questa titubanza alimenta la rabbia della società civile in tutto il mondo, che non riesce ad accettarla in un momento in cui le bombe si abbattono sui civili di Gaza.

Al centro del dibattito c’è il diritto di Israele a difendersi dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre, che ha provocato 1.400 vittime. Lo stato ebraico vuole avere mano libera nella conduzione della sua guerra contro Hamas, anche a rischio di infliggere un castigo collettivo ai più di due milioni di abitanti della Striscia di Gaza.

Perfino le persone convinte che Israele si stia spingendo troppo oltre – con i suoi bombardamenti, l’interruzione della fornitura di acqua ed energia e l’opposizione alla consegna degli aiuti umanitari – esitano a dichiararlo pubblicamente a causa del trauma del 7 ottobre. All’interno dell’Unione europea la Germania, per ragioni storiche, non vuole in alcun modo irritare Israele. Questo rende particolarmente difficile un eventuale compromesso tra gli europei. Ma i tedeschi non sono i soli a mettersi di traverso.

Gli Stati Uniti sono i soli ad avere una reale influenza su Israele e dunque gli unici a poter chiedere con efficacia un cessate il fuoco. Washington consegna armi allo stato ebraico e ha inviato il suo esercito nella regione per intimidire l’Iran e le forze legate a Teheran affinché evitino di innescare un’escalation regionale.

Biden avanza in modo prudente, chiedendo il rispetto del diritto di guerra, criticando i coloni della Cisgiordania e probabilmente lavorando in privato per frenare l’offensiva di terra a Gaza. Ma non ha chiesto con chiarezza un cessate il fuoco.

Questa reticenza occidentale a impegnarsi per una pausa nelle ostilità è percepita da buona parte del mondo come un allineamento alle posizioni di Israele, e quindi rafforza la critica di adottare due pesi e due misure. Il simbolo di questa dinamica è l’attenzione ricevuta il 26 ottobre dall’appello della regina Rania di Giordania sulla Cnn. La regina ha rimproverato l’occidente di non mettere sullo stesso piano i morti israeliani e quelli palestinesi.

Questa incomprensibile esitazione nel chiedere la fine dei combattimenti, anche solo per permettere di consegnare gli aiuti umanitari ai civili, lascerà tracce profonde e scaverà ulteriormente il fossato che separa l’occidente da una parte del sud globale, in un contesto segnato dalla frammentazione del mondo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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