Il 1 febbraio il presidente degli Stati Uniti ha firmato un ordine esecutivo contro quattro coloni coinvolti in violenze contro i palestinesi in Cisgiordania. È la prima volta che accade ed è una decisione significativa. Il provvedimento ha una portata limitata e riguarda solo i beni finanziari dei quattro negli Stati Uniti e la loro possibilità di entrare nel paese, ma l’effetto politico è evidente ed è probabile che altre misure simili saranno prese presto.

Il messaggio di Washington è rivolto prima di tutto agli elettori democratici che criticano il sostegno di Joe Biden a Israele, a cui il presidente promette un maggiore equilibrio. Il 1 febbraio Biden si trovava in Michigan, lo stato in cui vive la più nutrita comunità arabo-americana, molto critica nei confronti della sua amministrazione.

Il secondo destinatario del messaggio di Biden è Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano che all’interno della sua coalizione conta i rappresentanti del movimento dei coloni, proprio quello nel mirino della decisione americana. Il ministro della sicurezza israeliano Itamar Ben Gvir vive nell’insediamento di Kyriat Arba, in Cisgiordania, feudo dei coloni più estremisti, in cui è seppellito e venerato Baruch Goldstein, autore del massacro di Hebron del 1994, primo colpo assestato agli accordi israelo-palestinesi di Oslo.

Il decreto presidenziale americano è stato firmato in un momento in cui Netanyahu è alle prese con una scelta politica determinante. Sul suo tavolo c’è infatti un piano per un cessate il fuoco che permetterebbe la liberazione di altri ostaggi in cambio della scarcerazione di prigionieri palestinesi, oltre all’interruzione temporanea delle sofferenze dei civili della Striscia di Gaza.

Ma Ben Gvir, leader di uno dei partiti di estrema destra che fanno parte della coalizione di governo, ha giocato d’anticipo avvertendo Netanyahu che se il piano sarà approvato, la coalizione si scioglierà e il primo ministro perderà il potere, probabilmente per sempre. Alcuni analisti ritengono che Ben Gvir stia bluffando, ma al momento non c’è niente di certo.

Netanyahu sa che buona parte dell’opinione pubblica israeliana vorrebbe che approvasse il piano per salvare altri ostaggi. Il 3 febbraio il segretario di stato americano Antony Blinken arriverà a Tel Aviv per trovare un accordo. Il provvedimento contro i coloni va letto in quest’ottica.

Gli statunitensi hanno deciso di affrontare la questione dei coloni perché si tratta dell’ostacolo principale verso la creazione di uno stato palestinese, obiettivo ribadito ripetutamente da Biden. All’epoca degli accordi di Oslo nei territori occupati dal 1967 vivevano 120mila coloni. Oggi sono settecentomila. Trent’anni d’incapacità nel trovare una soluzione sono stati sfruttati per creare una situazione sul terreno molto difficile da risolvere. La Cisgiordania rischia di esplodere, soprattutto a causa delle azioni violente dei coloni. Se la Casa Bianca sostiene il diritto di Israele a difendersi dopo il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre, nulla però giustifica questa violenza in Cisgiordania.

Il momento politico attuale è importante per il ruolo degli Stati Uniti nel conflitto. Gli americani sono sempre più risucchiati nella logica regionale della crisi e frustrati dal comportamento di Netanyahu. Biden, impegnato nella campagna elettorale per la rielezione, non ha molto tempo per ribaltare la situazione e dimostrare che la sua strategia era corretta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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