Nel suo ultimo film, Il seme del fico selvatico, il regista iraniano Mohammad Rasoulof racconta la storia di una famiglia che si sfalda dopo la morte di Mahsa Amini, due anni fa: da un lato un padre conservatore e fedele all’apparato repressivo, dall’altro le sue figlie che sostengono dei manifestanti indignati di fronte a una morte causata da un velo indossato male.

Il cinema iraniano mostra le crepe di una società sottomessa da quarant’anni al giogo della Rivoluzione islamica. Il film di Rasoulof, regista costretto a fuggire dal suo paese per evitare il carcere, illustra la svolta portata dal movimento “Donne-Vita-Libertà” all’interno della società.

Attraverso una repressione feroce, i mullah e il loro braccio armato, i Guardiani della rivoluzione, sono riusciti a contenere le manifestazioni, a scongiurare una reazione a catena e a salvare il regime in un momento in cui è impegnato su tutti i fronti della regione.

Il governo, però, non è riuscito a spegnere del tutto le fiamme delle proteste, le ha solo arginate. Tutte le testimonianze provenienti dall’Iran confermano che il regime ha perso il controllo di buona parte delle giovani generazioni, sia uomini sia donne. È un fatto significativo.

L’aspirazione alla libertà si scontra contro la repressione implacabile, ma due anni dopo la morte di Mahsa Amini le ragazze iraniane continuano a sfidare la legge mostrandosi in pubblico a capo scoperto, mentre il nervosismo del regime risulta evidente nel divieto d’accesso al cimitero dove è seppellita la ragazza, nella sua regione natale all’interno del Kurdistan iraniano. Ancora oggi ricordiamo la folla enorme che aveva accompagnato la sua sepoltura.

Una nuova generazione

Un altro segno evidente del fatto che le braci non si sono ancora spente è una registrazione clandestina proveniente dall’ala femminile del carcere di Evin, a Teheran, in cui le detenute cantano e scandiscono slogan insieme a Nargès Mohammadi, premio Nobel per la pace ancora in prigione. È un documento di una forza inaudita.

La nuova generazione delle ragazze nate dopo la rivoluzione islamica non sopporta più le restrizioni di un regime immutabile. Paradossalmente, in Iran le donne hanno avuto accesso all’istruzione, al mercato del lavoro e alla vita sociale ben prima delle cittadine di molti altri paesi, a cominciare dall’Arabia Saudita. Ma questa libertà limitata ha generato frustrazioni che la vicenda di Mahsa Amini ha fatto esplodere.

Nel vicino Afghanistan i talebani, tornati al potere tre anni fa, impongono alle donne, fin dalla giovane età, una totale mancanza di libertà che comprende anche il divieto di parlare in pubblico. Si tratta della versione più estremizzata dell’Islam, che nessun altro paese musulmano segue, nemmeno l’Iran. Ma anche in questo caso le donne non si arrendono, in condizioni ancora più terribili rispetto all’Iran.

Le donne che resistono, in Iran come in Afghanistan, meritano il sostegno del resto del mondo, anche soltanto per far conoscere le loro iniziative. Niente sarebbe peggio che permettere a questa cappa di piombo di ricadere su di loro. A Teheran come a Kabul, in gioco c’è una parte della nostra umanità. Scegliendo come slogan “Donne-Vita-Libertà”, la coraggiose donne iraniane hanno sottolineato l’universalità della loro lotta. Non possiamo dimenticarle.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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