Nell’evoluzione brutale della guerra tra Israele ed Hezbollah manca un attore di primo piano, che mantiene un profilo basso: l’Iran. Eppure Teheran è il padrino ideologico, il fornitore di missili e il banchiere del movimento libanese. Hezbollah è al centro dell’“asse della resistenza” (come lo chiamano in Iran), che va dagli houthi dello Yemen fino ad Hamas in Palestina, passando per gli sciiti dell’Iraq e per il regime siriano, che all’alleanza deve in parte la propria sopravvivenza.
Dopo l’attacco del 7 ottobre, Teheran ha mantenuto una violenta retorica anti-israeliana contro il calvario dei civili nella Striscia di Gaza. Ma allo stesso tempo il regime iraniano si è preoccupato di non lasciarsi trascinare nel conflitto, anche quando ha deciso di reagire al bombardamento israeliano di uno dei suoi consolati in Siria. La risposta, lo scorso aprile, è stata accuratamente calibrata per evitare l’escalation.
Oggi il contesto è diverso: l’Iran si trova con le spalle al muro, mentre il suo alleato Hezbollah subisce perdite considerevoli e Israele sembra voler approfittare del suo vantaggio.
La domanda, a questo punto, è duplice: cosa può fare Teheran? E cosa vuole fare davvero? L’Iran potrebbe mettere in atto le minacce di rappresaglie contro lo stato ebraico lanciate dopo l’omicidio del capo di Hamas Ismail Haniyeh, nel centro di Teheran. Quelle minacce, finora, sono rimaste lettera morta, irritando i componenti dell’“asse della resistenza”.
Allo stato attuale l’Iran non sembra voler lasciarsi coinvolgere direttamente nel conflitto tra Israele ed Hezbollah, consapevole che lo stato ebraico non aspetta altro. Una guerra che dovesse implicare direttamente l’Iran trascinerebbe nella mischia anche gli Stati Uniti, che mantengono un contingente in Medio Oriente e hanno già inviato rinforzi.
La moderazione del nuovo presidente
Anche per questo Teheran continua a mandare segnali di distensione. Il nuovo presidente Masoud Pezeshkian si trova a New York all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove ha pronunciato parole molto misurate. Pezeshkian potrebbe addirittura sostenere il tentativo di mediazione franco-americano per ottenere un cessate il fuoco in Libano.
Come spiegare questa moderazione? Il presidente iraniano si è fatto fotografare sorridente con il suo collega francese Emmanuel Macron, e questo nonostante i rapporti tra i due paesi siano costantemente tesi e tre cittadini francesi siano ancora detenuti in Iran. Inoltre Pezeshkian ha concesso un’intervista a Cnn in cui ha sottolineato che “non c’è niente da guadagnare da una guerra”.
Certo, il presidente iraniano non ha grandi poteri, perché a decidere il destino del paese sono la Guida suprema Ali Khamenei e i Guardiani della rivoluzione, il suo braccio armato. Ma al contempo non può permettersi di allontanarsi troppo dalla linea tracciata da Khamenei, dunque le sue parole fanno capire che l’Iran non vuole la tanto temuta guerra regionale.
La spiegazione è semplice: il regime iraniano è già nel mirino degli occidentali per il sostegno militare alla Russia, per non parlare della delicata situazione interna a due anni dalla morte di Masha Amini, con la conseguente rivolta delle donne. Infine Teheran non vuole rischiare uno scontro che vanificherebbe i suoi sforzi per ottenere l’arma atomica.
Davvero l’Iran è disposto a sacrificare Hezbollah a rischio di perdere buona parte della sua credibilità regionale? È la domanda che tutti si pongono. Al momento sembra che Teheran voglia prima di tutto salvare il suo regime, anche a costo di restare immobile mentre il sangue dei libanesi continua a scorrere.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it