Tutti coloro che sono rimasti sconvolti dalla conversazione brutale del 28 febbraio tra Volodymyr Zelenskyj, Donald Trump e J.D. Vance, andata in scena all’interno dello studio ovale, speravano in una reazione forte dell’Europa. Ma questo desiderio si è scontrato contro la realtà dei rapporti di forza attuali e il fatto che gli Stati Uniti, anche se ostili, sono un elemento imprescindibile nelle questioni che riguardano la sicurezza dell’Unione.
Il risultato, il 2 marzo, è stato un numero di equilibrismo messo in atto a Londra, nel Regno Unito, dove i rappresentanti di una quindicina di paesi hanno incontrato il presidente ucraino, reduce dal fallimento di Washington. Da un lato c’era la volontà di rimediare, per quanto possibile, ai danni causati dall’incontro terribile alla Casa Bianca, dall’altro la necessità di preparare l’Europa a fare a meno degli Stati Uniti.
I due obiettivi possono sembrare contraddittori, ma sono solo il riflesso di un’Europa ancora incapace di vivere senza lo scudo di Washington, che la protegge ormai da settant’anni. E una situazione di questo tipo non si cambia da un giorno all’altro. In questo senso, l’Unione paga le conseguenze della sua incapacità di prevedere l’evoluzione dei rapporti con gli Stati Uniti.
È possibile rimediare alla catastrofe del 28 febbraio? Diversi leader europei ci stanno provando: il britannico Keir Starmer e il presidente francese Emmanuel Macron, entrambi ricevuti a Washington la settimana scorsa; la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni, che ha buoni rapporti con Trump e soprattutto con Elon Musk; e il segretario generale della Nato, l’olandese Mark Rutte. L’obiettivo è quello di mediare per rimettere insieme i cocci.
Un piano franco-britannico per l’Ucraina, con le famose garanzie di sicurezza in caso di invio di truppe europee per accompagnare il cessare il fuoco, sarà presentato a Washington nella speranza di evitare il peggio in occasione dell’imminente incontro fra Trump e Vladimir Putin. Ma al momento nulla lascia pensare che gli statunitensi siano disposti ad accettarlo. Al contrario, tutto punta in direzione di un ulteriore inasprimento, dopo l’esplosione di violenza verbale del presidente e del vicepresidente degli Stati Uniti nei confronti di un capo di stato amico e in guerra da tre anni.
In caso Washington interrompesse gli aiuti all’Ucraina, tutti sanno che l’Europa incontrerebbe enormi difficoltà a colmare il vuoto, a cominciare dal fatto che alcuni armamenti (sistemi di difesa antiaerea e missili, per esempio) non sono prodotti nel vecchio continente. Da questa consapevolezza nasce l’obiettivo fissato durante il vertice di Londra: provare a mantenere il coinvolgimento degli Stati Uniti, anche se questo significa mettere da parte l’orgoglio davanti all’atteggiamento indegno dei più alti funzionari statunitensi. È un segno della debolezza dell’Europa? Si preferisce chiamarlo pragmatismo, in attesa di giorni migliori.
Il rafforzamento dell’Europa è stato l’altro grande argomento trattato nella capitale britannica, sull’onda della gravità e dell’urgenza del momento storico. Per quanto riguarda la difesa non esiste ancora una forza unica dell’Unione europea, ma c’è una colonna europea della Nato insieme a Regno Unito, Canada e Turchia, ovviamente senza gli Stati Uniti e senza i paesi filorussi come l’Ungheria di Viktor Orbán.
Lo scopo è quello di raccogliere fondi considerevoli – partendo da duecento miliardi di euro, ha precisato Macron, intervistato dal quotidiano francese Le Figaro – per finanziare la difesa europea e fare in modo che in futuro il continente possa garantire la propria sicurezza, con o senza gli Stati Uniti. L’obiettivo è ancora lontano. Qualche giorno fa il presidente francese ha fissato una scadenza di cinque anni.
Oggi ci ritroviamo a rimpiangere il tempo perduto, che costringe gli europei a porgere l’altra guancia a una Casa Bianca che si schiera dalla parte di chi ha invaso l’Ucraina e minaccia l’Europa. Quantomeno, la brutalità dell’amministrazione Trump è tale che stavolta il risveglio strategico dell’Unione è assolutamente reale. Meglio tardi che mai.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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