Il 7 febbraio l’Ecuador è diventato il secondo paese latinoamericano, dopo la Colombia, a depenalizzare l’eutanasia. La corte costituzionale ha infatti stabilito che un medico che allevia le sofferenze di un paziente affetto da una malattia incurabile non può essere perseguito per omicidio.
Il ricorso era stato presentato nell’agosto scorso da Paola Roldán, una donna di 43 anni affetta da sclerosi laterale amiotrofica, una malattia neurodegenerativa incurabile.
Roldán, che è costretta a letto e non può respirare autonomamente, ha chiesto alla corte di stabilire se l’articolo 144 del codice penale, che punisce l’omicidio con una pena detentiva minima di dieci anni, debba applicarsi anche all’eutanasia, com’è stato finora.
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I giudici hanno stabilito che “ogni essere umano dev’essere libero di prendere decisioni quando il suo sviluppo personale è compromesso, e questo comprende la possibilità di mettere fine a terribili sofferenze causate da una lesione fisica grave e irreversibile o da una malattia grave e incurabile”.
“Di conseguenza, le pene previste per l’omicidio non possono essere applicate a un medico che compie una procedura di eutanasia attiva per tutelare i diritti del paziente”, hanno aggiunto.
La corte ha inoltre invitato il ministero della salute a presentare entro sei mesi un progetto di legge che disciplini l’eutanasia, che dovrà poi essere approvato in parlamento entro un anno.
La sentenza è stata emessa con una maggioranza di sette giudici a due.
“Oggi l’Ecuador è un paese più accogliente, libero e dignitoso”, ha affermato Roldán nel corso di una conferenza stampa virtuale, aggiungendo di sentirsi “commossa e sollevata”.
Uno dei suoi avvocati, Farith Simón, ha affermato che la sentenza è “immediatamente applicabile”.
La Colombia aveva depenalizzato l’eutanasia nel 1997.