“Questa volta gli statunitensi hanno votato con piena cognizione di causa”, si legge nell’editoriale del quotidiano francese Le Monde sulla vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi. “Non solo gli elettori repubblicani conoscono bene il loro candidato, ma sanno che sarà ancora più radicale di otto anni fa e allontanerà il paese dal cammino tracciato dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il mondo, secondo Trump, va guardato solo attraverso la lente degli interessi statunitensi, ed è fatto di rapporti di forza e guerre commerciali, nel disprezzo del multilateralismo. Un mondo in cui una diplomazia mercantile si sostituirà alle alleanze fondate sui valori. Gli europei hanno un brutto ricordo del suo primo mandato, ma il secondo si annuncia peggiore. Se, come ha minacciato in campagna elettorale, Trump interromperà gli aiuti militari all’Ucraina e negozierà con Vladimir Putin una pace favorevole alla Russia, metterà a repentaglio la sicurezza di tutta l’Europa”. Non è un caso, scrive Marc Peeperkorn su de Volkskrant, se la vittoria di Trump è stata un campanello d’allarme a Bruxelles perché l’Unione europea sarà costretta “ad assumere un atteggiamento più assertivo sulla scena mondiale”. Le dichiarazioni di Trump sull’eventualità di non fornire più protezione militare ai paesi della Nato “costringeranno l’Europa a discutere di come rafforzare l’industria della difesa”. In Russia il giornale governativo Moskovskij Komsomolets nota che “il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha fatto una scommessa sbagliata. Gli esperti prevedono infatti una significativa riduzione degli aiuti militari statunitensi al suo paese”. Il 6 novembre Zelenskyj è stato uno tra i primi leader mondiali, insieme all’israeliano Benjamin Neta­nyahu, a congratularsi con Trump per la rielezione. “Donald Trump ha promesso in campagna elettorale che fermerà le guerre”, ricorda il giornale ucraino Zerkalo Tyžnja. “Nel suo primo mandato, però, non è riuscito a risolvere nessun conflitto”.

● In Medio Oriente il quotidiano panarabo The New Arab osserva che, rispetto alla guerra di Israele a Gaza, “Trump ha una posizione più ambigua del suo predecessore Joe Biden, che ha fornito a Israele aiuti militari per 17,9 miliardi di dollari. Trump ha promesso di mettere fine al conflitto, ma allo stesso tempo, tra i principali donatori della sua campagna elettorale, c’è la miliardaria israeliana statunitense Miriam Adelson. Nel suo primo mandato, inoltre, ha compiuto gesti favorevoli a Israele, come spostare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme”. Per il sito libanese Daraj “la prima vittima di Trump potrebbe essere proprio la soluzione dei due stati nel conflitto israelo-palestinese”. Un altro tema caldo è il rapporto con l’Iran. Durante il primo mandato di Trump, gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo sul nucleare con Teheran. “L’elezione del presidente degli Stati Uniti, in realtà, non ci riguarda perché le grandi traiettorie della politica statunitense, come quelle iraniane, sono fissate da tempo, e i passaggi di potere non le cambiano radicalmente”, scrive il sito iraniano Eghtesad Online, citando la portavoce del governo di Teheran, Fatemeh Mohajerani. “Nel complesso poco importa chi è il presidente degli Stati Uniti”.

● Molto diversa la situazione a Taiwan: il quotidiano Lianhe Bao cita il direttore dell’ufficio per la sicurezza nazionale Tsai Ming-yen secondo cui “si sta entrando in una situazione completamente nuova, che si tratti delle relazioni tra Taipei e Washington o dello scacchiere internazionale”. La sicurezza dell’isola – che la Cina minaccia di annettere – dipende in gran parte dalla protezione statunitense. In India, invece, l’elezione di Trump è stata accolta positivamente: il settimanale India Today scrive che il primo ministro Narendra Modi è sicuramente uno dei leader mondiali più favoriti dalla vittoria di Trump, con cui ha un rapporto quasi cameratesco e con cui condivide gli stessi obiettivi: “Il secondo mandato di Trump porterà vantaggi e sfide. Mentre le politiche protezionistiche di Washington rischiano di limitare le esportazioni indiane, la volontà di Trump di ridurre la dipendenza dalla Cina potrebbe creare nuove opportunità per l’industria nazionale e le aziende tecnologiche indiane”.

● “L’amministrazione Trump probabilmente comincerà delle battaglie sui dazi – se non una vera e propria guerra con la Cina – capaci di destabilizzare le catene di approvvigionamento mondiali”, prevede il sito sudafricano News24. “Visto il controllo repubblicano sul senato, c’è da temere che siano messi in discussione gli accordi commerciali preferenziali con alcuni paesi africani o gli aiuti statunitensi al continente, cosa che avrebbe ripercussioni enormi”. La stessa preoccupazione è condivisa nelle Americhe. Il sito messicano Sinembargo immagina che Trump possa cancellare l’accordo commerciale con il Messico, che sarà riesaminato nel 2026. “Senza integrazione economica, il Messico tornerebbe agli anni settanta o diventerebbe come il Brasile e la Colombia di oggi”, scrive Jorge Zepeda Patterson. “Questo ci costringerebbe a ripensare molti aspetti produttivi e commerciali. La vicinanza al mercato più forte del pianeta è vantaggiosa, ma questo non significa che non si possa farne a meno”. Un altro giornale messicano, la Crónica de Hoy, sottolinea che nel suo primo discorso Trump è tornato su una delle sue ossessioni: la frontiera con il Messico e la crisi migratoria. Non ha ribadito la promessa di espellere tra i 15 e i 20 milioni di immigrati, ma si è limitato a promettere di “sistemare i confini e sistemare il paese”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1588 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati