Molto è stato scritto su Aftersun, l’esordio della regista Charlotte Wells premiato come miglior film dell’anno dal Guardian, ed è sorprendente che un’opera così struggente e intimista dalla trama essenziale – un giovane padre separato e la figlia undicenne vanno in vacanza in Turchia alla fine degli anni novanta – abbia ispirato non solo letture personali, ma anche tentativi di risolvere un mistero, di stanare i codici di un film che resta splendidamente aperto (cosa succede al padre dopo che si salutano al terminal? Importa?). Ho visto Aftersun nei giorni in cui ho ripreso ad ascoltare un bel disco di Valerio Bulla uscito per Bomba Dischi e che porta il suo nome (è il suo primo lavoro da solista).

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Volendo, l’associazione è facile: il film di Wells parte dalle riprese fatte con la videocamera dal padre e dalla bambina, probabilmente le uniche cose che restano della voce e del corpo di quella persona nella vita ormai adulta della figlia, e il disco essenziale di Bulla contiene diversi brani, Valerio #1, Valerio #2 e Valerio #3, con file audio impastati in cui si sentono persone che gli chiedono dov’è e lo richiamano dalle dimensioni in cui viene risucchiato.

Anche qui c’è un sentimento che resta aperto, a fronte di una musica gentile e semplice, fatta quasi solo dal piano. Invece di riparare nei territori composti e freddi del minimalismo, il pianoforte di Bulla ha un suono accennato, quasi di chi sta eseguendo un brano per la prima volta per farlo sentire a qualcuno di vicino. La stessa sensazione trasmessa da Avril 14th di Aphex Twin e da Aftersun: ciao, siamo un po’ qui. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1494 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati