Il dottor Adnan Al Bursh era il primario del reparto di ortopedia dell’ospedale Al Shifa, nella città di Gaza. Con lo scoppio della guerra aveva cominciato a spostarsi di continuo da una struttura sanitaria all’altra, perché tutte venivano distrutte dall’esercito di Tel Aviv. Non tornava a casa sua a Jabalia dall’inizio del conflitto, finché a dicembre di lui si sono perse completamente le tracce. Di recente si è saputo che Adnan Al Bursh è morto in una prigione israeliana, verosimilmente a causa delle torture e delle percosse subite durante gli interrogatori.
Le ultime persone ad averlo visto sono gli altri medici e i detenuti che sono stati liberati. Ai giornalisti Jack Khoury e Bar Peleg, del quotidiano israeliano Haaretz, hanno raccontato che Al Bursh era a stento riconoscibile. “Era evidente che aveva passato le pene dell’inferno: torture, umiliazioni e privazione del sonno. Non era più la persona che conoscevamo. Era l’ombra di se stesso”, hanno dichiarato.
Un medico, primario di un ospedale di Gaza, è stato picchiato e torturato a morte in una prigione. La cosa non ha fatto scattare nessun allarme nell’opinione pubblica israeliana
Una sua foto diffusa dopo la morte mostrava un uomo molto elegante. In un’altra foto, scattata durante la guerra mostrava il suo camice ospedaliero coperto di sangue. Al Bursh aveva una moglie, Jasmine, e sei figli. Aveva studiato medicina in Romania, poi aveva frequentato la scuola di specializzazione nel Regno Unito. Il rapper e attivista palestinese Tamer Nafar gli ha dedicato una bellissima canzone.
Un medico, primario di un ospedale di Gaza, è stato picchiato e torturato a morte in una prigione in Israele: la cosa non ha fatto scattare nessun allarme nell’opinione pubblica del paese. Quasi tutti i suoi colleghi, tra cui i vertici dell’ospedale, e ovviamente le persone che hanno partecipato alle orrende torture compiute nella base di Sde Teiman e nelle carceri israeliane non hanno detto una parola. Un primario è stato picchiato a morte. E con questo? Dopotutto, quasi cinquecento medici e operatori sanitari sono stati uccisi nella guerra e di loro non si è quasi parlato. Allora perché la storia di Al Bursh dovrebbe attirare l’attenzione? Perché era un primario? Nessun crimine di guerra commesso dallo stato ebraico a Gaza ha suscitato emozioni qui in Israele, a eccezione della gioia provata dalla destra sanguinaria.
Alla morte del medico si è aggiunto anche un altro atto odioso: la reazione delle autorità. Lo Shin bet (i servizi segreti israeliani) è rimasto come al solito in silenzio. Alcuni ex agenti oggi sono famosi commentatori televisivi. Gli viene chiesto di mostrarci la via, di esprimere la loro opinione, ma lo Shin bet non parla mai delle persone che ha interrogato e torturato. L’esercito si è sottratto alle sue responsabilità: Al Bursh è stato solo “gestito” in una prigione dell’esercito, per poi essere trasferito a Kishon, in una struttura usata dai servizi per gli interrogatori. E da lì è finito al carcere di Ofer, affidato al servizio penitenziario israeliano. La risposta delle autorità carcerarie è stata sfacciata: “Non ci occupiamo della morte di detenuti che non sono cittadini israeliani”.
Un uomo muore in carcere, ma il servizio penitenziario non pensa di dover riferire all’opinione pubblica le circostanze del suo decesso, perché non era un cittadino israeliano. In altre parole, la vita di chi non è un cittadino israeliano non ha nessun valore nelle prigioni dello stato ebraico. Ricordiamocelo quando un israeliano viene arrestato a Cipro per stupro o in Perù per droga e c’indigniamo per le sue condizioni di detenzione. Ricordiamocelo con ancora più forza quando denunciamo al mondo, e a ragione, la sorte dei nostri ostaggi. Come può la gente identificarsi con il dolore provato dagli israeliani per il destino degli ostaggi, quando gli stessi israeliani si rivelano indifferenti alla sorte degli ostaggi dell’altra parte?
Perché nella piazza di Tel Aviv dove manifestano i parenti delle persone rapite non c’è un solo striscione che chieda un’inchiesta sull’uccisione del medico di Gaza? Il suo sangue è forse meno rosso di quello degli israeliani sequestrati? Perché il mondo dovrebbe occuparsi solo degli ostaggi israeliani e non di quelli palestinesi, le cui condizioni di prigionia o la cui morte nelle carceri dello stato ebraico dovrebbero far inorridire chiunque? ◆ fdl
Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.
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Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati