L’intervista di Fabio Fazio a papa Francesco, oltre ad aver assicurato al conduttore una suite nel pantheon della tv e un posto in paradiso, ha avuto un tempismo perfetto. È arrivata dopo la liturgia sanremese, in cui padre Amadeus, con parabole e ritornelli, ha accolto e unito un gregge spaesato. Per una settimana è stato il terzo papa, prima voce di un osanna collettivo, di una comunità sfibrata da anni di convivenza clinica e giorni di miseria politica. “Apri tutte le porte”, canta Morandi su testo e musica dell’ecumenico Jovanotti in un festival che esordisce con un sacramento: l’auto-battesimo di Achille Lauro, presto ammonito dall’Osservatore Romano, che rivendica i diritti di citazione e ricorda – luciferino – precedenti di altro lignaggio, come quelli di David Bowie. Tutto, nella bolla ligure, sembra improntato alla lieta novella. Pio Amadeus guida una scaletta premurosa di alleggerire le anime inquiete, una preghiera ritmata che non sedimenti pensieri e dunque angosce, nella beata cornice celeste dell’Ariston. Papa Francesco, domenica, giorno di riposo e bilancio, riscatta il sapere terreno. Parla di guerre, di diseredati, di clericalismo (“una perversione della chiesa”), del diritto al perdono e del vecchio desiderio di diventare macellaio. Carne e spirito, immagine e parola, un’omelia ammonitrice, sublime chiusura del rito festivaliero, grazie al papa titolare e al suo autore provvisorio, Fabio Fazio. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1447 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati