In un sobborgo del frizzante mondo dei social network si è avuto da ridire sull’annunciata presenza di Enrico Montesano alla prossima edizione di Ballando con le stelle (Rai 1). I critici considerano inaccettabile che la rete ammiraglia ospiti un personaggio che in piena pandemia ha speso il suo tempo a maledire medici e sapienti, a diffondere notizie strampalate sul virus e a inoculare forti dosi di complottismo. I più clementi vedono nel ritorno dell’attore romano in tv un rinsavimento, i più scatenati accusano il servizio pubblico e Milly Carlucci, conduttrice e capoprogetto del programma, di un calcolo cinico. Vecchia storia. Ma la promessa di scintille a mezzo social è solo una parte della ricetta, e forse neanche la più importante. Siamo viziati dall’idea che il genere talent si riferisca a concorrenti che hanno una dote specifica da mettere in mostra e con cui gareggiare. Quelli di Ballando sono andati oltre, ribaltando il gioco. Alle claudicanti esibizioni dei loro vip, che il talento semmai lo negano, hanno sovrapposto l’immagine del figliol prodigo, che dopo aver fatto danni torna “talentuosamente” nella casa del padre. Il cast rifiorisce. Non più di promesse, ma di Cristi, di stelle cadenti che hanno toccato il fondo, che hanno dato prova di vanità, superbia o semplice ignoranza, e che ora, invece di scavare, espongono il loro corpo logorato. Per risorgere ballando ci vuole talento. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1476 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati