Il giochetto di usare persone qualunque mosse da ambizione o necessità per intrattenere il pubblico si sta incrinando, sia dal punto di vista editoriale – i reality show cominciano a stufare – sia contrattuale. Corpi e voci di trame non scritte, il lumpenproletariat della tv, donne e uomini protagonisti di generi vari, dai talent ai grandi fratelli, comincia a rivelare il dietro le quinte dello show. Il Guardian, basandosi sulle testimonianze raccolte da Jeremy Hartwell, ex partecipante di Love is blind, racconta di produzioni massacranti, privazione del sonno, manipolazioni, esaurimenti nervosi dovuti a notorietà improvvise e successive cadute, a fronte di paghe misere o nulle. Con il motto “i componenti del cast sono persone, non oggetti di scena”, Hartwell ha fondato l’Unscripted cast advocacy network per offrire sostegno legale e psicologico a troupe esauste. Battaglia complicata, visto l’evidente squilibrio tra l’ufficio legale delle piattaforme e i lavoratori a contratto e non rappresentati. Ventitré anni fa, a riprova di quanto fosse tra i pochi personaggi tv a capire testo e contesto, Pietro Taricone, conclusa l’esperienza al Grande fratello, ci avvertì da subito sull’impatto mentale ed economico dei nuovi format televisivi. “Noi che siamo figli di Publitalia”, disse, individuando in Cologno Monzese il palazzo d’inverno, “dovremmo costituire un sindacato per i reduci da reality. Sciopero, compagni! Senza di noi non c’è tv”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1526 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati