Le piattaforme digitali hanno fatto anche cose buone. Per esempio hanno affezionato pubblici a lingue e culture molto diverse. La più in voga è la Corea del Sud, con programmi zeppi di grafiche e mascheroni, e serie che ci risvegliano dal torpore creativo con trovate apocalittiche o surreali. L’ultimo titolo parte da un assunto filosofico: è meglio trascorrere cinque giorni da crocchetta di pollo o cinquanta da umano? Si chiama Chicken nugget (Netflix) e narra la storia di una ragazza, figlia di un imprenditore e corteggiata da un giovane che veste solo di giallo e di rosa, che un giorno entra in una futuristica cabina telefonica e si trasforma in una polpettina di pollo e sesamo. Immaginate d’improvvisarvi sceneggiatori e avere tra le mani questa premessa. Come andate avanti? Nella mia testa passerebbe un cane, ingollerebbe la crocchetta e la serie finirebbe lì. I coreani invece ci danno sotto, e partendo da un esplicito riferimento a La mosca di David Cronenberg mettono insieme un pastiche kafkiano. La metamorfosi della ragazza è spunto per passaggi grotteschi, comici e anche commoventi, come quando il padre, fissando la crocchetta, rievoca gli anni in cui cresceva la figlia. Sulle ultime puntate ci si dimentica del “bocconcino” e, seguendo l’angoscia dei due protagonisti coinvolti in faccende sempre più complicate, si scorge una velata chiave politica che mette insieme patriarcato e olio di semi. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1556 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati